by Sergio Segio | 11 Novembre 2011 7:43
MILANO — La cronaca in differita, del «giorno dopo», talvolta con le sue sintesi può servire a prefigurare ancora meglio i giorni futuri. Mercoledì, il giorno in cui è stato nominato senatore a vita dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, Mario Monti era a Berlino. Per partecipare al Dahrendorf Symposium, conferenza anglo-tedesca che commemora appunto Ralf Dahrendorf, filosofo e sociologo, che è stato come Monti commissario europeo e alla testa di un ateneo, nel ruolo di direttore della London School of Economics.
A margine Monti ha parlato, non poco e con toni severi, dell’Italia e le sue dichiarazioni sono state riportate dal Financial Times. «Non lo nego: abbiamo davanti un enorme lavoro da fare». Alcuni punti di questo «enorme lavoro» li ha quindi toccati e, se appare forse improprio definire le sue dichiarazioni già il tracciato di un agenda da premier, senza dubbio vi può apparire definito un percorso auspicabile.
«All’Italia l’Europa e la comunità internazionale chiedono di fare quello che ogni Paese dovrebbe desiderare di fare da sé, e cioè crescere». Si tratta dunque di richieste su ciò che «deve essere fatto», e su cui «non possono esserci «molte divergenze intellettuali». E la crescita, che forse rappresenta con il debito il problema prioritario per l’Italia, con il nostro maxi debito è, per la sua sostanziale assenza da anni, l’elemento che più marca la distanza rispetto ai Paesi forti della Ue, a cominciare dalla Germania.
Monti chiarisce subito però quale dev’essere il principale motore dello sviluppo che non c’è: «La crescita non deve arrivare dal ricorso al debito, quanto dalla rimozione degli ostacoli che fino a ora ci hanno frenato». E perciò richiede «riforme strutturali» per togliere i privilegi di quasi tutte le categorie sociali». Perché a rendere difficili le riforme politiche è il fatto che «ognuno tende naturalmente a difendere la propria circoscrizione elettorale».
Privilegi e riforme sono del resto fattori sui quali Monti insiste da sempre. E proprio di recente in un suo editoriale sul Corriere della Sera, l’economista ha sottolineato che gli ingredienti «di un’economia più competitiva, di una maggiore crescita, di una società più aperta, più inclusiva, più equa» sono «meno barriere all’entrata, meno privilegi e rendite per gli inclusi, più possibilità di ingresso per gli esclusi e per i giovani, più spazio al merito e alla concorrenza». Tutti punti che appartengono alla Strategia 2020 degli impegni europei «sulle riforme necessarie e possibili per rendere più competitiva l’economia e più inclusiva la società ». Un disegno impegnativo ma che, ha rimproverato Monti in quella occasione, il nostro governo non ha voluto con continuità e ancor meno ha realizzato.
Per l’Italia poi, ha sottolineato il presidente della Bocconi, è auspicabile un maggiore coinvolgimento nell’asse franco-tedesco contro la crisi: sarebbe nell’interesse comune «se l’Italia non si fosse completamente espulsa da sola negli ultimi anni». Però l’ex commissario Ue, che su incarico del presidente José Barroso ha messo a punto un rapporto per favorire l’integrazione e l’unificazione dei mercati, rimuovendone gli ostacoli e organizzando una strategia per il rilancio, si rivolge anche alla Germania: «Vorrei vedere una Germania anche migliore di quella di oggi, nel senso di più rigorosa, più forte nel tempo, meno attenta al breve periodo e più paziente».
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