La sinistra fuori partita

by Sergio Segio | 22 Novembre 2011 8:15

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In tutto questo tempo infatti, nonostante gli attacchi speculativi abbiano messo in ginocchio in successione Grecia, Irlanda, Portogallo, Spagna, Italia (e ora stiano attaccando Francia e Belgio), mai i dirigenti della nostra sinistra hanno trovato il tempo o l’occasione di fare un colpo di telefono ai loro omologhi greci, portoghesi, spagnoli, francesi. Né, se per questo, i dirigenti della sinistra greca o spagnola hanno mai sentito il bisogno di comporre il prefisso 0039.
Se per i banchieri, i fondi d’investimento e le cancellerie, la crisi dei debiti sovrani è una crisi sistemica del governo dell’Europa, le sinistre invece sembrano non rendersi conto che da sole non potranno opporsi alle (né influire sulle) misure decise dai banchieri. I nostri vari Bersani & Co. sembrano credere che basti tradurre «governo» in «governance» per depurare il problema di tutta la sua dimensione politica e ridurlo a questione tecnica da delegare a un governo di «tecnici».
Nella vulgata corrente infatti ci sarebbero due versanti «indipendenti» del problema; un aspetto economico sovranazionale, che riguarda i mercati, e uno politico che riguarda gli schieramenti nazionali. Ma quello che sta avvenendo è proprio il venir meno della distinzione tra i due aspetti. Come descrivere quel che succede da due anni a questa parte se non come la sconfitta della politica su scala nazionale da parte dei «poteri forti» sovranazionali?
Viene il sospetto che le varie sinistre europee non si rendano conto della vastità  e della profondità  della rivoluzione in corso. Perché di una vera e propria controrivoluzione si tratta. Un cambiamento che accoppia una tendenza di lunga durata in atto ormai da circa 40 anni con la crisi degli ultimi quattro anni che sfrutta per mettere in piedi addirittura un nuovo rapporto tra capitale e politica.
La tendenza di lunga durata è quella della delocalizzazione industriale che ha operato una gigantesca compressione dei salari nell’area Ocse, ha precarizzato il lavoro, ha debilitato i sindacati e ha minato i diritti dei lavoratori. Questa tendenza di lunga durata viene accentuata e accelerata adesso, approfittando della crisi.
Questo è l’obiettivo dichiarato dei vari piani di austerità : spazzare via un secolo e passa di conquiste dei lavoratori (non solo operai). E tra le conquiste dei lavoratori c’era anche la loro partecipazione al processo di decisione politica attraverso il meccanismo delle democrazie parlamentari. Ma gli ultimi eventi mostrano che – questioni formali a parte – la democrazia è stata sospesa. Almeno nel suo spirito, la Costituzione è stata abrogata in Grecia e Italia: in questi due paesi una sola cosa è certa, e cioè che il popolo non è affatto sovrano.
Le sinistre europee hanno assistito senza fiatare allo smantellamento del diritto. Intanto non era scritto in nessun trattato che un’unione di 17 stati fosse governata da due soli paesi a cui nessuno ha rilasciato una delega: il duopolio franco-tedesco (che si avvia a essere un monopolio germanico) è totalmente illegale. In secondo luogo, le lettere della Banca centrale europea ai paesi Piigs somigliano come gocce d’acqua alle lettere che l’Fmi mandava agli stati d’Africa e America latina, con la differenza che allora erano affrancate per il Terzo mondo, mentre ora sono inviate a economie avanzate del primo mondo.
Guardando come si comportano gli Hollande, i Bersani, gli Zapatero e colleghi, è lampante che costoro sono ciechi di fronte alla più massiccia ristrutturazione capitalista dell’ultimo secolo, una ristrutturazione che ha come modello la Cina postdenghista che coniuga liberismo capitalista con partito unico, censura, repressione: tutta la libertà  di Stalin e tutta l’eguaglianza di Bush. Il capitalismo mondiale si è accorto che il sistema può funzionare e guadagnare senza un servizio sanitario, senza pensioni, senza scuola per tutti, senza diritti civili, senza democrazia, tutti elementi che rappresentano intralci e costi impropri, da tagliare. Questo per dire che il rospo che ci fanno ingoiare non è il semplice governo Monti, ma è un processo mondiale di lunga durata che cambia il modello di capitalismo. Mai avremmo pensato che il post-fordismo consisterebbe nel «post-maoismo».

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