by Sergio Segio | 10 Novembre 2011 7:36
Nell’era dell’euro, pochi avrebbero pensato di doversi preparare con angoscia a un’asta di Bot a dodici mesi. Ma quando stamani il Tesoro emetterà Bot annuali fino a cinque miliardi, lo scenario apparirà paradossalmente meno imprevedibile rispetto anche a poche ore fa. Lunghe giornate di preparazione e contatti fra il Tesoro, la Banca d’Italia, la Banca centrale europea e gli istituti di credito, potrebbero far funzionare senza intoppi l’intera operazione. Almeno per ora.
Non che la parte più amara dell’appuntamento di questa mattina non sia evidente: anche solo a scadenze di un anno, la Repubblica italiana finirà per indebitarsi a costi decisamente insostenibili. Da ieri a metà giornata, il profilo dei rendimenti dei titoli di Stato si presenta come se avesse subito una mutazione patologica. I titoli a un anno sono arrivati a rendere quasi l’8,5%, i biennali erano al 6,4%, il cinque anni al 7,7% e il decennale – quello su cui si concentra l’attenzione di molti – intorno al 7,4%. I tecnici definiscono questo fenomeno abnorme una «curva invertita», con la parte breve delle scadenze che rende più della parte lunga. Gli investitori chiedono una remunerazione più alta per investire a breve, perché è nell’immediato che temono di assistere a un «default» del debitore. Semplicemente, pretendono un premio maggiore per mettere in gioco il proprio denaro.
Succede quando il mercato crede seriamente che uno Stato possa non farcela a finanziarsi nel futuro prossimo. E l’Italia davanti a sé ha un calendario impegnativo: solo nel 2012, 440 miliardi di finanziamento che (in teoria) dovrebbe raccogliere sul mercato, di cui ben più di cento nei primi tre mesi dell’anno. A stime prudenti, da ora a marzo il Tesoro ha bisogno di circa 150 miliardi di euro per far fronte ai titoli in scadenza, coprire il fabbisogno e finanziare le spese ordinarie dello Stato. Eppure ormai gli acquisti di Btp sul mercato si sono rarefatti all’estremo.
È per questo che esplodono i rendimenti dei Bot e i tassi all’asta di oggi saranno comunque esosi. C’è però anche un raggio di luce in questo quadro di massima fragilità : tutto sembra pronto perché l’asta di questa mattina e quella per 6-7 miliardi di Btp a cinque e dieci anni in calendario lunedì, dovrebbero andare in porto. In base agli impegni presi alla vigilia delle operazioni, non dovrebbero restare titoli invenduti: uno scenario, quest’ultimo, che potrebbe provocare un avvitamento dell’intera situazione. Ma le garanzie offerte dalla cosiddette «banche specialiste» del Tesoro dovrebbero permettere di evitare il peggio.
Da anni il Tesoro lavora con un gruppo di circa venti banche, di cui 18 estere, con l’obiettivo di far funzionare al meglio le aste di titoli di Stato. Questi istituti «specialisti» si sono impegnati a comprare direttamente alle aste almeno due terzi dell’ammontare di debito emesso dall’Italia ogni anno. In realtà ne assorbono spesso circa il 99%, quindi lo rivendono in gran parte sul mercato. Il problema ora è assicurare la stessa copertura in tempi di emergenza, ed è qui che la rete dei contatti fra istituzioni può aver portato una (relativa) sicurezza.
Le banche specialiste hanno parlato a lungo con il Tesoro, sotto la guida di Vittorio Grilli e della responsabile della gestione del debito Maria Cannata. Dopo molti contatti anche con la Banca d’Italia, alcuni dei banchieri privati coinvolti hanno l’impressione che sull’intera operazione ora esista una garanzia implicita della Bce. Nella City, in particolare, molti pensano che la parte di Bot e Btp che nessuna banca vuole comprare all’asta possa di fatto essere assorbita dall’Eurotower. In realtà per la Bce è illegale acquistare titoli di Stato all’emissione. Ma i banchieri «specialisti», che hanno discusso a lungo con le autorità coinvolte, pensano di poter rivendere subito a Francoforte la parte della carta italiana per la quale non hanno alcun appetito.
Probabile che, se è vera, nell’immediato questa strategia possa funzionare. Eppure nei prossimi mesi pieni di rifinanziamenti essa appare impraticabile, per più di una ragione. La pressione interna alla Bce per limitare gli acquisti di titoli italiani resta troppo elevata, anche per il rischio di deteriorare la qualità del bilancio della Banca centrale e subire un giorno forti perdite. Ma soprattutto, a meno di svolte rapide, l’esplosione del costo del debito italiano non sembra affatto arrivata alla fine. Grecia, Irlanda e Portogallo insegnano che quando la curva dei rendimenti si inverte, i tassi e gli spread possono continuare a salire fino a livelli astronomici. E l’Italia ha bisogno di varie centinaia di miliardi nei prossimi mesi ma di fatto ha perso l’accesso al mercato.
Gli investitori, votando con il portafoglio, chiedono una svolta immediata per evitare un “default” che farebbe impallidire quello di Lehman. L’annuncio di dimissioni del governo di Silvio Berlusconi non è bastato. Il mercato aspetta la parte costruttiva della svolta, con un esecutivo fatto di personalità competenti e in grado di far passare in fretta riforme adeguate. Sia Mario Monti che Giuliano Amato, i “tecnici” di cui si parla in queste ore per la successione a Berlusconi, offrono le garanzie necessarie. Solo un governo di questo tipo avrebbe la credibilità sufficiente per giustificare un maggiore sostegno dalla Bce, l’invio di una richiesta di aiuto (anche finanziario) al Fondo monetario internazionale e un altro al fondo salvataggi europeo.
Non c’è molta scelta. L’alternativa, purtroppo, è scritta nella curva patologica dei titoli di Stato.
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