LA MELA AVVELENATA
Non c’è tempo per i bizantinismi del Palazzo, meglio mettere tra parentesi la politica per dare tutto il potere all’economia.
A caratteri cubitali il messaggio viene inviato dalla prima pagina del giornale di Confindustria (“Fate presto”), per spiegare che i tempi della politica (della democrazia) sono troppo lenti e poco conciliabili con quelli della crisi finanziaria. Quindi si può al massimo concedere un rapido passaggio parlamentare per il via libera a Monti, ma chiedere agli elettori come uscire dalla crisi non si può. In altra forma, lo stesso pensiero unico è replicato sulle colonne del Corsera, in prima linea nella battaglia a sostegno «delle qualità super partes» di Monti, come scrive il direttore De Bortoli. Siccome il gettonatissimo candidato a palazzo Chigi è chiamato a salvare l’Italia con «scelte impopolari», sarà bene non mischiare l’alto incarico con gli intralci delle forze politiche (una traduzione dei famosi «lacci e lacciuoli»). Come se essere super partes e impopolari fosse oggi il valore aggiunto, la chiave di volta necessaria per uscire vivi dalle macerie del berlusconismo. Come se dopo il colossale spostamento della ricchezza del paese dal lavoro al profitto (8 punti di Pil: ogni anno 120 miliardi di euro), eredità dell’ultimo quindicennio italiano, non fosse ancora giunta l’ora di chiamare al governo una politica esplicitamente di parte, di quella parte che, altrimenti, sotto le macerie resterà sepolta.
Su queste pagine Guido Viale sottolineava il monopolio degli economisti nel dibattito sulla crisi finanziaria. Avergli delegato la “narrazione” degli eventi, che fossero liberisti e keynesiani, ha avuto l’effetto, e lo vediamo in queste febbrili giornate, di camuffare le leggi dell’economia come leggi di natura. L’abbuffata liberista che ha precipitato il mondo nel terremoto di questi anni, ora pretende di indicare la ricetta e la cura. E può farlo senza l’intralcio e l’impaccio di doverne rispondere ai cittadini.
Le dimissioni di Berlusconi sono persino difficili da credere, come è difficile svegliarsi da un incubo che ha segnato la psicologia collettiva. Tra le pesanti eredità del quindicennio, oltre al disfacimento sociale (ieri dati Istat denunciavano la cifra di cinque milioni di disoccupati: il doppio della media europea), allo svuotamento di ogni principio di rappresentanza, all’annichilimento di qualunque regola di convivenza civile, ci sono i semi avvelenati dell’antipolitica. Che ancora fruttificano, dando a un governo libero da questi partiti il colore rosso della mela avvelenata.
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