La «destra tranquilla» dei popolari di Rajoy travolge i socialisti

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MADRID — Maggioranza assoluta al centro-destra del Partito Popolare, miglior risultato di sempre. Mariano Rajoy sarà  il premier che dovrà  tentare di far riemergere la Spagna dal profondo rosso dei conti pubblici e privati. A risultato acquisito, Rajoy ha parlato di «enorme responsabilità  davanti alla peggiore congiuntura in trent’anni» perché «dalle decisioni che prenderemo non dipende il benessere della Spagna per i prossimi anni, ma per i prossimi decenni». Ha sparso a piene mani riconciliazione nazionale: «Nessuno abbia paura, i miei soli nemici saranno la disoccupazione, il deficit, il debito» e, quanto alle riforme, «le faremo senza settarismo, collaborando con tutti, compreso il Partito Socialista». «Ci vuole uno sforzo solidale, equamente ripartito» tra i cittadini come tra regioni ricche e povere. «Non ci saranno miracoli, non li abbiamo promessi, ma con lavoro, serietà  e costanza i risultati arriveranno».
«Lo primero el empleo», prima di tutto viene il posto di lavoro, diceva lo slogan dei Popolari e nel programma c’era in effetti poco di più. È bastato. Rajoy ha da ieri sera un assegno in bianco per governare, dieci milioni di voti, il 44 per cento, 4 milioni più dei socialisti. Avrà  così 186 parlamentari, ben più dei 176 che servono per approvare le riforme drastiche che l’Europa chiede. Questa mattina lo «spread» tra il costo del debito pubblico spagnolo e quello tedesco, dirà  quanto i Mercati credono alla possibilità  che la Spagna faccia le riforme e che la sua economia riparta. Ma se c’è un senso nelle reazioni della finanza internazionale, la posizione spagnola migliorerà  drasticamente. Tra i Paesi periferici dell’euro, Grecia, Italia, Portogallo, Irlanda, ora la Spagna è quello più attrezzato per rispondere alla sfida. Gli spagnoli hanno scelto un unico partito per decidere la rotta dandogli tutti gli strumenti democratici di cui ha bisogno. Una dimostrazione di maturità  dei votanti e di efficienza del sistema elettorale.
Dal voto escono delle Cortes inedite per la Spagna moderna. Mai c’è stata tanta frammentazione, mai tanti partiti, mai gli indipendentisti baschi e gli autonomisti catalani sono stati così forti. E mai il Partito Socialista (Psoe) è stato così debole.
Eppure il sistema elettorale, pensato per un bipartitismo corretto dalle forze regionali, ha permesso una governabilità  senza discussioni. I socialisti scendono al 28% dei voti ottenendo 110 deputati, sotto la soglia minima della loro storia (118 nel 1977) e 59 meno di quanti ne avevano nel 2008. La sconfitta e l’uscita di scena del premier Luis Zapatero apre il travaglio per una nuova leadership. Il candidato Perez Rubalcaba è stato sconfitto ieri, la ministra della Difesa Carme Chacon superata nella sua Catalogna dagli autonomisti di CiU.
«Il nostro futuro è in Europa — ha detto Rajoy nel discorso della vittoria —. Faremo il nostro dovere, ma la Spagna pretenderà  d’essere ascoltata da Bruxelles e Francoforte».


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