by Sergio Segio | 13 Novembre 2011 8:08
Il primo ha a che fare con la risposta che governo e poteri forti hanno dato alla vittoria referendaria dello scorso giugno. Consapevoli di aver perso il consenso sociale, preoccupati dell’evidente erosione della catena culturale che per più di due decenni ha legato le persone all’idea del pensiero unico del mercato, governo e poteri forti hanno rilanciato una nuova stagione di privatizzazioni dei servizi pubblici locali, giustificandola con le risposte da dover dare all’Unione europea in merito alla riduzione del debito pubblico.
La stessa Ue, nell’ormai famosa lettera-diktat con la quale chiede addirittura modifiche della Costituzione al nostro Paese, rilancia le politiche liberiste proprio nel senso della svendita del patrimonio pubblico e della messa sul mercato di tutti i beni comuni.
L’operazione ideologica che sottende a questo perseverare in politiche che sono state la causa stessa della crisi globale, è quella che tenta di far credere, come se fossimo nell’antica Grecia, che esistano nuove divinità impalpabili e inconoscibili – i cosiddetti mercati – che tuttavia provano emozioni: possono dare e togliere fiducia, divenire euforici o collerici, turbarsi. E che alle popolazioni non resti altro che fare continui sacrifici in loro onore, sperando di ingraziarli per suscitare la loro benevolenza o per mitigarne la collera.
Di conseguenza, il voto della maggioranza assoluta del popolo italiano a favore dell’uscita dell’acqua dal mercato e dei profitti dall’acqua non può essere c o n s i d e r a t o perché cause di forza maggiore, ed indipendenti dalle v o l o n t à umane, impongono altre strade e direzioni.
Il secondo motivo sta proprio nella radicalità della battaglia del movimento per l’acqua. Avendo scelto, con la legge d’iniziativa popolare e con la battaglia referendaria, l’obiettivo strategico di non limitarsi a contrastare le privatizzazioni selvagge cercando di ottenere una riduzione del danno, bensì di disegnare uno scenario di fuoriuscita totale dei beni comuni dalle gestioni attraverso SpA, il movimento per l’acqua apre nuovi scenari che parlano di nuovo ruolo della fiscalità generale, di necessità di una nuova finanza pubblica, di ridisegno radicale degli enti locali di prossimità , di cultura dellademocrazia come partecipazione.
Tutti obiettivi che cozzano inevitabilmente con la costruzione di un’Unione europea che, lungi dall’essere stata pensata come entità politica e culturale, è stata forgiata come spazio monetario con un unico scopo: il consolidamento dei dogmi liberisti, attraverso le politiche della Bce, finalizzate esclusivamente alla stabilità dei prezzi, all’equilibrio di bilancio e allo stimolo della concorrenza e sottratte, attraverso la totale “indipendenza” dai governi, a qualsivoglia controllo democratico dei cittadini.
La battaglia per la riappropriazione sociale dell’acqua e dei beni comuni contrasta inevitabilmente con il patto di stabilità esterno ed interno, perché è esattamente attraverso questo strumento che si impedisce agli Stati di poter esercitare un ruolo pubblico nell’economia e si costringono gli enti locali al drastico restringimento delle loro funzioni, fino al loro smantellamento definitivo. Significativa a questo proposito la norma contenuta nell’art. 4 della manovra finanziaria estiva che, nell’obbligare – nonostante il voto referendario – i Comuni a vendere tutti i servizi pubblici locali, prevede che i ricavi di tali vendite possano essere introitati dai Comuni stessi e spesi per opere che non verranno conteggiate nel patto di stabilità interno (come dire, se vuoi asfaltare una strada o costruire un asilo devi vendere l’acqua o il trasporto pubblico).
Nell’attuale contesto di crisi, ciò che sta succedendo è il trasferimento di un debito del sistema bancario e finanziario agli Stati e da questi ultimi ai cittadini; ovvero, si salvano le banche socializzandone gli oneri e poi si interviene per evitare il default degli Stati con misure di macelleria sociale che mandano in default i cittadini. Si tratta di una gigantesca trasposizione dal welfare, che aveva caratterizzato, seppur in forme differenti tra loro, tutti i paesi dell’Unione europea della seconda parte del ‘900, come compromesso sociale tra il capitale e il lavoro, verso un sistema di bankfare, all’interno del quale il ruolo del pubblico diviene esclusivamente quello di sostenere, a spese dei cittadini, il sistema bancario e finanziario internazionale, causa prima della crisi in atto.
Il risultato è un circolo vizioso grazie al quale il debito degli Stati è notevolmente aumentato proprio grazie al fatto che i governi hanno deciso di accollarsi le perdite del capitale finanziario.
Ma l’idea di invertire la rotta non sfiora neppur lontanamente i poteri forti politico-economici, tant’è che la linea di “rigore” è stata recentemente rafforzata con alcune misure a livello comunitario, in primis attraverso le sei proposte legislative per il rafforzamento del patto di stabilità , così riassumibili: ulteriore controllo della spesa pubblica, ulteriori restrizioni nei parametri relativi a debito e deficit, obbligo di deposito cauzionale a garanzia del rispetto delle raccomandazioni, nuove regole di redazione dei bilanci, set di indicatori economici per valutare gli squilibri, ammende in caso di mancato rispetto.
Sono tutte norme conseguenti al nuovo “Patto per l’Euro”, approvato dal Consiglio europeo il 24-25 marzo 2011 e che prevede obiettivi comuni per tutti i governi, a partire dalla “sostenibilità ” della finanza pubblica, con l’ unico scopo di riaffermare il primato dell’impresa e del mercato sui beni comuni, i diritti sociali e del lavoro.
Che fare, dentro questo quadro? È evidente che per il movimento per l’acqua, dopo la straordinaria vittoria referendaria, si aprono nuovi scenari di lotta. La realizzazione dei risultati referendari, con la ripubblicizzazione di tutte le gestioni dei servizi idrici e la loro gestione partecipativa e senza profitti è senz’altro il primo compito. Da questo punto di vista la mobilitazione per l’approvazione dellalegge d’iniziativa popolare da una parte e il lancio della campagna di “Obbedienza civile” per l’autorganizzazione della riduzione delle tariffe in obbedienza al voto del popolo italiano, sono gli obiettivi immediati. Ma possono essere portati a vero compimento solo se collocati in una mobilitazione più ampia che prenda di petto le politiche monetariste dell’Ue e liberi un nuovo ruolo del pubblico nella finanza e nell’economia.
Un primo obiettivo non può che riguardare il debito. Un debito che va studiato ed esaminato attraverso la creazione di auditorie popolari che facciano l’anamnesi dello stesso, ne identifichino le responsabilità e ne propongano la drastica riduzione/ristrutturazione sino al suo non pagamento.
Un secondo obiettivo riguarda il controllo dei capitali finanziari, a partire dall’approvazione della Ftt, ovvero la tassa su tutte le transazioni finanziarie, sino alla costruzione di condivise politiche fiscali europee.
Un terzo obiettivo deve diventare l’apertura di un fronte per il superamento del patto di stabilità , cominciando a sottrarre allo stesso tutta la spesa rivolta all’accesso ai beni comuni naturali e sociali e all’erogazione e qualità dei servizi pubblici locali.
Infine, la riapertura di uno spazio nuova di finanza pubblica che preveda la risocializzazione del sistema bancario, a partire dalla ripubblicizzazione della Cassa Depositi e Prestiti, il cui capitale pubblico è immenso, ma tutto orientato alla valorizzazione finanziaria e all’investimento in dannose grandi opere.
Con la vittoria referendaria il movimento per l’acqua ha inserito un fortissimo granello di sabbia negli ingranaggi dell’economia liberista, ora si tratta di costruire percorsi, alleanze e intrecci a livello nazionale ed europeo per arrivare tutte e tutti assieme a ingripparne definitivamente il motore. La grande manifestazione nazionale a Roma del prossimo 26 novembre sarà il primo passo in questa direzione.
* Attac Italia
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