La Caporetto dei bond più salato il conto per le banche Italiane

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L’ha ammesso perfino uno dei principali beneficiari del discusso esercizio della European Banking Authority, l’ormai celebre Eba. Ieri, sul Financial Times, il presidente della Deutsche Bank, Josef Ackermann, ha dichiarato: «Infrangere l’idea che i debiti sovrani dell’Eurozona siano a rischio zero ha aperto un vaso di Pandora assai pericoloso». L’Eba aveva rivisto i bilanci delle banche portando al valore corrente i titoli di Stato che ciascuna ha in portafoglio. Un’operazione che ha consentito alle banche tedesche e francesi di rivalutare sulla carta i titoli del proprio Paese così da coprire le perdite reali sui titoli greci, che non erano ancora riuscite a scaricare sulla Bce, e al tempo stesso un’operazione che ha messo nei guai le banche italiane, prive di titoli greci e piene di titoli del proprio Paese.
Il primo segnale dei venti tempestosi è stato il caos nelle clearing house, le stanze di compensazione internazionali per le negoziazioni dei titoli pubblici. A Parigi, Clearnet ha alzato i margini sui titoli di Stato italiani decennali all’11,25%, per quelli a due anni al 6,5% e per quelli a scadenza tra i 15 e i 30 anni al 20%. Il giorno dopo è stata seguita dalla Cassa di compensazione e garanzia del London Stock Exchange che ha assorbito Borsa Italiana. Clearnet ha deciso senza che la Banca di Francia informasse la Banca d’Italia e ne ottenesse il consenso. Una violazione degli accordi. Disattenzione? Se fosse, a quando le scuse e il licenziamento dei responsabili?
Mentre Clearnet combinava il pasticcio, la Bce cessava gli acquisti di Btp, ormai sempre più onerosi, talché lo spread tra questi e i Bund, arrivato sul decennale al 5,76%, rappresenta ormai il giudizio reale dei mercati sull’Italia. Evidentemente sul debito pubblico, che fa paura a tutti, si sta giocando una partita senza esclusione di colpi. E si tende a oscurare l’origine della sua impennata: il salvataggio dell’industria finanziaria a spese degli Stati. Tanto per capirci, Deutsche Bank ha un attivo di 1.849 miliardi a fronte di un patrimonio di vigilanza di 50. La sua leva finanziaria (il rapporto tra attivo e patrimonio) è pari a 37. A fronte di questo patrimonio ci sono 45,5 miliardi di titoli tossici, non negoziabili. Unicredit e Intesa Sanpaolo hanno leve assai più contenute: la prima di 15 volte, la seconda di 13. Unicredit ha titoli tossici pari al 17% del patrimonio di vigilanza e Intesa ne ha per il 6%. La percentuale di Deutsche è 91, quella di Bnp Paribas 34, di Credit Suisse 93. Ma ora sembrano contare solo i titoli di Stato.
I principi contabili sono una Babele dove, alla fine, prevale la lingua del più forte. I mercati finanziari sono condizionati dalla politica, dice Ackermann. E da un’economia al ribasso per altri 3-5 anni. Il sondaggio periodico dell’agenzia di rating Fitch rivela che il 70% degli investitori europei in titoli pubblici teme il ritorno alla recessione. Due trimestri fa i pessimisti erano il 21%. Di questo bisogna tener conto quando si va a guardare il debito pubblico. Le difficoltà  dei Paesi mediterranei possono dare a Germania e Francia un provvisorio vantaggio: i capitali in fuga dai titoli di Stato italiani convergono verso i titoli tedeschi e francesi contenendone il costo. Ma con i nuovi rischi di recessione ha senso sfruttare l’Eba per sistemare i conti delle proprie banche precipitando nel caos le banche italiane e parecchie delle spagnole? Secondo l’Eba, nessun banchiere dovrebbe sottoscrivere titoli di Stato italiani perché, se l’emissione di oggi verrà  seguita da un’altra, domani, a un tasso maggiore, quel banchiere dovrà  registrare subito la minusvalenza teorica. E dunque gli aumenti di capitale si dovrebbero susseguire fino a quando non si placherà  la speculazione, che ha individuato nell’Italia l’anello debole della catena dell’euro.
A questo punto, cambiare governo è inevitabile. E potrà  giovare. Come giovò, dopo Caporetto, sostituire il generale Cadorna con il generale Diaz. Ma l’Austria-Ungheria non per questo cessò le ostilità . L’Italia resistette sulla linea del Piave perché rinsaldò in un modo o nell’altro la propria coesione e impegnò tutte le sue risorse. L’imprenditore Melani, esortando a comprare Btp dalle colonne del Corriere, compie un gesto nobile. Sarà  anche lungimirante se chi ha le maggiori responsabilità  saprà  unire gli sforzi. Negli ultimi anni tra governo e Banca d’Italia non c’è stata piena collaborazione. I cambi della guardia — in Via Nazionale c’è già  stato, a Palazzo Chigi è prossimo — possono far ritrovare la coesione necessaria. Intanto, tocca al nuovo governatore Ignazio Visco, che ha una storia diversa da quella dei suoi precedessori, far tesoro dell’indipendenza della Banca d’Italia per difendere il sistema bancario nazionale, senza sconti per i banchieri, ma anche senza pensare che il verbo sia a Parigi o a Berlino.


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