by Sergio Segio | 18 Novembre 2011 8:47
Ecco cosa significa non spegnere mai il telefonino, avere l’ansia della raggiungibilità sempre e ovunque, controllare le email spasmodicamente, non saper gestire correttamente l’inondazione di dati che ci sommerge… L’esito del test è implacabile: cartoncino rosso, peggio di così non si può.
Ore dieci del mattino, Museo della Comunicazione di Berna. Eccola, la mostra più gettonata del momento. Si intitola «Comunicare nuoce» (fino al 15 luglio 2012) ed è un percorso dalle intenzioni davvero ambiziose (in francese e tedesco). L’idea è aiutare i visitatori ad affrontare i rischi della ipercomunicazione e a capire se, e fino a che punto, sono assuefatti al flusso incessante di dati che li inonda ogni giorno. Per scoprire cosa significa esattamente «flusso incessante di dati» basta fermarsi qualche minuto nella prima stanza della mostra. Si chiama «Clinica della comunicazione» e offre un panorama di numeri impressionanti. Prima di tutto i libri. Ce ne sono 12 mila, stipati stretti stretti attorno a una teca che ne custodisce uno soltanto. Quel libro racconta gli studi dello scienziato americano Martin Hilbert che proprio sulla quota 12 mila rivela: se immaginiamo di dividere per ciascun abitante della Terra i dati che circolano quotidianamente nel mondo, allora ogni essere umano, per partecipare e fruire di quei dati, dovrebbe leggere 12 mila libri in un giorno solo.
Altri studi dicono che in un giorno una persona che ha moltissimo tempo legge al massimo 350 pagine, che per vedere i video caricati in tutto il mondo su Youtube in 24 ore ci vorrebbero sei anni, che il tempo di leggere una frase di un paio di righe e nello spazio infinito del web finiscono 20 milioni di email, che i siti da un capo all’altro del pianeta sono 325 milioni, che gli umani generano un traffico di 200 mila sms al secondo…
Per quanto sconcertanti i numeri della clinica non dicono niente sul proprio ruolo in quella marea di dati. Il test della sala check-up, invece, è stato studiato proprio per questo dai professori dell’Istituto di Sociologia dell’Università di Berna. Una raffica di domande che possono portare in quattro direzioni verso altrettante porte: verde, gialla, arancione o rossa. Se a fine test dal computer sbuca il cartellino verde vuol dire che il rapporto con la comunicazione è ottimo. Nessun suggerimento, si imbocca la porta e si esce dalla mostra. Se invece il cartellino è di uno degli altri colori le cose si complicano. «Malaticcio» ma recuperabile senza sforzi chi imbocca la porta gialla. Più serie ma non troppo le condizioni di chi deve aprire la porta arancione (si entra in una stanza piena di sassi che costringono a trovare equilibrio, fisico e simbolico, per raggiungere l’uscita). Decisamente più difficile, infine, la guarigione dei cartellini rossi, la loro porta si affaccia su una stanzetta dalle luci rosa fucsia e dai cuscini neri per terra che invitano al relax. Poi l’uscita.
Rossi, gialli e arancioni finiscono nella «Stazione dei consigli». «Qui nessuno ha soluzioni in tasca» dice il responsabile del progetto Ulrich Schenk. «Nessuno dice che comunicare sia un male. È indispensabile, come mangiare. Mangiare male e troppo però ci danneggia: ecco, il concetto è lo stesso. Qui diamo solo suggerimenti per fronteggiare, selezionare, filtrare l’ondata di comunicazione che ci arriva addosso ogni giorno. E poi, sia chiaro, non è che si è soltanto vittime. Chi partecipa al banchetto contribuisce a sua volta a crearlo, fa parte del problema».
Detto tutto questo, fatto il test, conosciuti i dati spaventosi, assorbiti i consigli, non resta che ritirare la «comucaina», finto farmaco per gli ammalati di comunicazione. Uscendo il primo pensiero è già un risultato: «Riaccendo o no il telefonino?»
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