Il sacrificio del piccolo Luca “La felpa rossa si è impigliata e il fango lo ha trascinato via”

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MESSINA – Il piccolo Luca l’ha sottratto con le sue mani alla furia del fango che se lo portava via, anche se ormai era troppo tardi. Piera, la mamma, lo teneva in braccio e lui gridava: «Non respira più, non respira più». Anna, il volto ancora sporco di fango, infagottata in un pile beige tre misure più grandi di lei, si stringe al marito e racconta il dramma di Luca, 10 anni, la piccola vittima dell’alluvione di martedì pomeriggio, e di Piera, la ragazza-madre, incinta, che si è salvata, ma che ancora non crede che suo figlio non ci sia più. La felpa rossa di Luca era rimasta impigliata ad un masso che aveva quasi spezzato in due le gambe del compagno di Piera che trasportava il bimbo sulle spalle e teneva lei, con il suo pancione, con l’altra mano. Nel letto dell’ospedale Piemonte, Piera, sotto shock, continua a ripetere a suo fratello Giacomo: «Mi raccomando, pensa tu al bambino. Come sta? Vedi di cosa ha bisogno». E nessuno si azzarda a spiegarle che Luca è morto. Così come Luigi e Beppe, padre e figlio, loro vicini di casa. Al ministro dell’Interno Anna Maria Cancellieri e a quello dell’Ambiente Corrado Clini che nel pomeriggio arrivano a Messina insieme al capo della Protezione civile Franco Gabrielli, sindaci e Regione chiedono a gran voce di sbloccare quei 162 milioni già  stanziati per gli interventi di messa in sicurezza dopo l’alluvione del 2009 a Giampilieri e bloccati dalla legge milleproroghe. E Clini spiega che il premier Monti si è impegnato in questo senso. L’allarme maltempo al Sud, d’altra parte, non è ancora alle spalle. Così come dimostrano il disastro nel messinese, ma anche i danni in Calabria dove, solo per miracolo, non ci sono state vittime a causa di un treno deragliato e di un ponte caduto. L’allerta prosegue oggi coinvolgendo anche la Puglia.

IL BAMBINO DI TUTTI
“Il bambino di tutti”, così a Scarcelli, in questa piccola frazione di montagna sventrata da una frana “imponderabile”, come dice Gabrielli, chiamavano Luca Vinci, dieci anni, cresciuto senza un papà , con il cognome della mamma in attesa di un fratellino che non è arrivato a conoscere. «Era cresciuto nelle nostre case, per questo Luca era il bambino di tutti e per questo è come se oggi ognuno di noi avesse perduto un figlio», dice la signora Maria mentre il corpicino del piccolo viene portato via dagli uomini della Protezione civile avvolto in un piccolo telo verde. A guardarlo ora, che cinque metri di fango hanno coperto strade e vicoli e aperto voragini, sembra impossibile che questo gruppo di case basse, senza intonaco, ma con le verande e i portoncini in alluminio, sia stato costruito sul fianco della montagna che sovrasta il piccolo centro di Saponara, entroterra messinese a 25 chilometri dalla città . Non saranno abusive, come precisa il giovane e disperato sindaco Nicola Venuti mentre quasi conta gli alberi rimasti ai bordi della grande ferita che apre il fianco della montagna devastato dai 260 millilitri di pioggia caduti in dodici ore. «Non parlate di devastazione del territorio, per favore, erano case tra gli alberi, e qui in 50 anni non è mai successo nulla. L’allarme era stato dato in tempo, le scuole erano chiuse, la gente avvertita. Eppure è successo lo stesso».

LE VITTIME DI VIA ROMA
La casa della morte è una palazzina bianca a due piani che ora giace accartocciata su se stessa. Le rocce e il fango l’hanno sventrata a metà . Il piano terra, dove abitava Luca, praticamente non c’è più, seppellito dalla melma dalla quale ora, dopo ore di scavo dei soccorritori, emergono una ruota di bicicletta, la spalliera della sedia di un tavolo da cucina, quel che resta di una libreria. A ricostruire gli ultimi atti di vita di Luca è Giuseppe Vinci, lo zio della mamma del piccolo. «Veniva giù una montagna d’acqua e quando ho intuito il pericolo ho fatto una corsa a casa di mia nipote. Il fango aveva già  ostruito la porta d’ingresso e Piera, il suo compagno Gianluca e il bambino stavano tentando di uscire dalla finestra. Siamo scappati via inseguiti da un fiume di fango. Luca era sulle spalle del compagno di Piera, lei si teneva la pancia. Per non cedere alla forza della corrente ci siamo attaccati a dei tronchi d’albero che qualcuno ci porgeva. Poi, ad un certo punto, ho sentito un urlo e ho visto Luca strappato via con forza dalla furia dell’acqua, gli abbiamo teso le mani cercando di afferrarlo, ma è scomparso…». Il resto della storia la raccontano i vigili del fuoco. Sono stati loro a portare via il corpo del bambino dalle braccia di Piera. «Brava ragazza Piera – dicono di lei le vicine di casa e i colleghi del bar Venuti di Messina dove lavorava fino a qualche settimana fa, fino a quando la gravidanza non l’ha costretta a casa – aveva tirato su Luca da sola e ora si era rifatta una vita con un nuovo compagno, era felice».

IL DESTINO DI PADRE E FIGLIO
In via Roma, il giorno dopo, si scava e ci si fa il segno della croce. Per Luca, ma anche per Luigi, 55 anni, e suo figlio Peppe, 25 anni. Li hanno cercati per tutta la notte, mentre la madre – salvata dai vigili del fuoco mentre penzolava da una ringhiera del balcone del primo piano – continuava ad urlare: «Salvate anche loro, Luigi e Peppe sono a casa, stavano vedendo la tv, sono in casa, andateli a prendere». Ma quello che fino a martedì pomeriggio era un primo piano ora è cinque metri sotto terra. Peppe lo hanno recuperato a metà  mattinata. Un gruppo di amiche non si dà  pace: «Era così contento, finalmente stava per laurearsi, il suo sogno». Il sogno di Peppe era diventare medico, rendere orgoglioso suo padre Luigi, operaio delle acciaierie Dufeyrdofin dell’area industriale di Giammoro. Una vita di sacrifici per costruire un futuro migliore ai figli, Peppe l’aspirante medico e l’altro, il più piccolo, impiegato a Villafranca Tirrena. Per tirarlo fuori ieri sera scavavano i vigili del fuoco ma anche i vicini di casa che avevano imbracciato le vanghe. Volevano essere loro a riportare fuori Luigi, “l’operaio aristocratico” come lo definisce Giovanna Marano, la segretaria regionale della Cgil che lo conosceva per il suo impegno nel sindacato Fiom.

LA RAGAZZA SANA E SALVA
Non sono molte le famiglie che abitano a Scarcelli, una ventina in tutto. Ma in pochi vogliono restare. Una donna con un grosso cerotto nero su uno zigomo chiede: «Allora la ragazza è salva? Meno male…». La ragazza è la giovane ventiquattrenne considerata quarta vittima per tutta la notte. Invece era viva, intrappolata all’ultimo piano della palazzina della morte insieme ad un’altra donna, con il fango quasi in gola, ma viva. Nel pomeriggio, mentre il cielo torna plumbeo e ricomincia a piovere, il sindaco firma dodici ordinanze di sgombero. La terra continua a muoversi. Mentre in fila indiana la Protezione civile porta via carriole piene di fango, c’è chi guarda con angoscia quel che resta della collina. Alcuni anziani, però, non vogliono sentire ragioni. La signora Carmela stende la biancheria e dice: «Non ho paura, sono vecchia, sono nata qui e qui voglio morire. Ora scusate, vado a cucinare, Qualcuno dovrà  pure dare da mangiare a questa gente».


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