Il professore subito a consulto con Draghi

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ROMA — La mattina, nell’albergo che ha la vista sui Fori Imperiali, è cominciata bene per Mario Monti: i giornali esteri che gli portano parlano di lui come del sicuro successore di Silvio Berlusconi. E una serie di personalità  autorevoli, dal direttore del Fondo monetario, Christine Lagarde, a Tony Blair lo incoronano alla guida del Paese. Arriva anche la voce che la coppia Merkel-Sarkozy avrebbe già  progettato di venire a Roma, subito dopo il varo del suo governo, per incoraggiare la ripresa politica ed economica italiana. E, in effetti, nel giorno delle dimissioni del Cavaliere, alla vigilia delle consultazioni che si terranno oggi al Quirinale, il candidato premier in pectore si muove come fosse già  nominato. Alle 9.30 raggiunge il suo ufficio di palazzo Giustiniani dove continua a mettere a punto il suo programma. Fondamentale, alle 11, la visita del neopresidente della Bce Mario Draghi: un’ora di colloquio in cui fa il ripasso delle misure che vengono considerate indispensabili dall’Europa. Sempre in mattinata vede anche i leader del Pd, Pierluigi Bersani ed Enrico Letta, che gli confermano il loro sostegno: «A Monti non c’è alternativa».
Ma è alle 14 che si consuma l’incontro più importante della giornata: Berlusconi lo invita a pranzo per trovare una via d’uscita alla crisi. Si mangia non molto (lo chef parla di «menù mediterraneo»), si parla invece tanto, ma alla fine il senatore a vita da una parte, il premier, Gianni Letta e Angelino Alfano dall’altra, non riescono a siglare una vera e propria intesa. C’è l’accordo di fondo per il via libera all’economista «chiamato» alla politica, ma non sui dettagli che a volte sono altrettanto decisivi. Solo per fare un esempio, la presenza dello stesso Gianni Letta nell’esecutivo, anche se rientra nel complesso rapporto tra il Cavaliere, il suo partito e il timore che regna in tutto il centrodestra di fronte a un nuovo governo. Che Monti desidera più tecnico possibile perché conosce bene, essendo stato commissario a Bruxelles, cosa vogliano dire i veti incrociati della politica.
Uscendo attorno alle 16 da Palazzo Chigi conosce per la prima volta un assaggio di reazione popolare: accanto alle grida «dimettiti» rivolte a Berlusconi c’è anche chi urla «forza Monti». Torna in albergo, ma non per riposarsi: una telefonata dopo l’altra per riempire le caselle dei futuri ministri con una lista ancora da completare nonostante la quasi certa riduzione dei dicasteri. Alle 18 torna a palazzo Giustiniani e rimette mano ai punti del programma, anche perché se, come sembra, tutto accadrà  in pochissime ore non dovrà  solo avere pronta la lista dei ministri, ma anche preparare subito il discorso che dovrà  presentare per chiedere la fiducia in Parlamento.
Continua perciò le sue consultazioni. È la volta del Terzo polo: sente il presidente della Camera Gianfranco Fini ma soprattutto si intrattiene con Pier Ferdinando Casini, dal quale ottiene il via libera forse più incondizionato di tutti gli interlocutori politici sentiti in giornata: «Per noi può fare il governo che vuole». Perché l’Udc farà  comunque, del governo tecnico che si appresta a varare, la sua bandiera. Un governo che ha in programma di durare fino alla fine della legislatura, nonostante i paletti che stanno emergendo nelle ultime ore dal fronte del centrodestra. E che parte con l’autorevole benedizione di Barack Obama, il quale in serata parla di «sviluppi positivi in Italia e Grecia». Forse per colpa del fuso orario il complimento sembra arrivare prima delle dimissioni di Berlusconi. «Buonasera — saluta Monti a fine giornata — è la dichiarazione più lunga che vi lascio». Ma già  oggi pomeriggio se, come tutto fa pensare, sarà  già  incaricato da Napolitano di formare il nuovo governo, tutti si aspettano che dica qualcosa in più.


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