Il presidio degli operai della fabbrica siciliana chiusa dal Lingotto

by Sergio Segio | 26 Novembre 2011 8:12

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TERMINI IMERESE.  Sono gli ultimi fuochi quelli che nella notte bruciano davanti ai cancelli della Fiat di Termini Imerese, un falò alimentato dalle pedane di legno abitualmente usate per trasportare le merci, quelle merci che non arriveranno più nella fabbrica siciliana chiusa dalle 22 di giovedì per le ferie della ragione. Più di cento operai, accalcati attorno alla brace, si chiedono quale sia il motivo di tanta ferocia: «Proprio noi – dicono – che le automobili le sappiamo costruire». Proprio loro, orgogliosi di essere entrati in quel «mondo a parte» (così lo definiscono) che consiste nel fabbricare vetture. Da quel mondo, che è il sapere delle loro mani, sono stati catapultati nell’inferno della disoccupazione.
Questa mattina, a Roma, il ministro dello Sviluppo economico, Corrado Passera ha convocato Invitalia, l’advisor del ministero, e i sindacati metalmeccanici. Si parla di una telefonata fra Passera e Sergio Marchionne; forse la Fiat sarebbe disponibile a mettere risorse che mancavano per la mobilità  incentivata. Forse.
Qui, intanto, fa freddo davanti ai cancelli che danno sul mare, ma bisogna presidiare la fabbrica, dove nel turno di notte lavorano gli uomini della manutenzione, un carrellista e tre operai. All’alba, con il primo turno, un gruppo di tute blu fa ingresso nello stabilimento: spetta a loro definire i dettagli delle ultime Lancia Ypsilon prodotte, un migliaio di macchine che chiuderanno la stagione della Fiat a Termini Imerese, iniziata nel ’71 con la produzione della Cinquecento. Le bisarche caricheranno le ultime auto, ma ieri di tir non se ne sono visti e un autista spiega che il trasporto è rimandato a data da destinarsi, dopo che giovedì un camion è stato bloccato dagli operai e costretto a fare marcia indietro. Serve a qualcosa questo blocco? si chiede un operaio. E si dà  la risposta: forse sarebbe meglio svuotare lo stabilimento e liberarlo per far posto al nuovo padrone, quel Massimo Di Risio, titolare della Dr Motor, che dovrebbe assicurare la ripresa della produzione con i suoi quattro modelli a basso costo, la cui quota di mercato, attualmente, è davvero scoraggiante: poco più di quattromila auto vendute in un anno. L’imprenditore abruzzese, che non ha ancora chiuso la trattativa con Invitalia, conta di sfornare 60 mila auto l’anno entro il 2017, ma i numeri dell’investimento lasciano perplessi: «Di Risio – spiega Vincenzo Comella della Uilm – è disposto a investire 15 milioni di euro, a fronte di fondi pubblici ben superiori. In cinque anni il numero degli addetti dovrebbe arrivare a circa 1.300. Dovrebbe…». La Regione è pronta a sborsare al nuovo arrivato 27 milioni a fondo perduto. Altri 45 li destinerà  a un piano per l’incremento occupazionale e ben 300 milioni per l’area industriale di Termini Imerese, da impiegare in infrastrutture e sgravi fiscali per le nuove assunzioni.
Intanto, se l’accordo sarà  chiuso in tempi brevi, la produzione potrà  partire non prima del 2013 – con l’utilizzo di 200 operai – e non a metà  2012 come si pensava. Resta da capire se l’investimento prospettato da Di Risio sia sufficiente. Per la conversione delle linee, da quanto hanno appurato i sindacati, l’imprenditore pensa di impiegare 115 milioni, «ma nel 2008 – osserva Comella – alla Fiat servirono circa 500 milioni per attrezzare lo stabilimento alla produzione della nuova Ypsilon. E in quel caso si trattava di un solo modello. La Dr vuole produrne quattro, dal segmento A al suv. Con quali linee?». Inoltre, altre questioni tecniche sembrano ancora tutte da chiarire: la vasca per il trattamento delle carrozzerie prima della verniciatura, una complessa e costosa struttura in cemento armato, è stata costruita per auto di piccole dimensioni. Non c’è spazio per le vetture più grandi. Si racconta che negli anni Settanta un fantasioso dirigente della Fiat fece immergere in quella vasca la carrozzeria di una 127, che si incastrò tra le pareti bloccando la produzione per un giorno intero.
Gli operai sono perplessi, ma sanno che la Dr è l’unica prospettiva possibile e per questo sono disposti a fare del loro meglio con queste auto «così belle a vedersi – dicono – accessoriate come una Maserati, ma che costano poco, troppo poco per non insospettire. E poi… Poi – dice Calogero, che lavorava in una fabbrica dell’indotto – è tutta roba che viene dalla Cina. Finora la Dr si è limitata ad assemblare auto, non a fabbricarle. La scocca arriva dentro una scatola, direttamente verniciata. Basta montare il resto ed è fatta, una specie di Lego. Ma qui sarà  un’altra cosa, ci sarà  una vera produzione e dunque altri costi e altra qualità . Gli acquirenti sapranno capire?». L’altra questione sospesa riguarda l’affidabilità  dell’azienda di Isernia, se è vero che Di Risio in questi giorni sta rinegoziando con le banche debiti per 80 milioni. Sull’accordo con la Dr se ne saprà  di più sempre questa mattina, nell’incontro al ministero.

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