Il premier designato esorcizza il fantasma dell’esecutivo a tempo

by Sergio Segio | 15 Novembre 2011 8:22

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La prospettiva di tenere aperte a lungo le trattative con i partiti, bersagliato da condizioni un po’ vere e molto pretestuose, comincia a preoccupare. Fra l’altro, l’incertezza si riflette sull’andamento dei mercati finanziari. Le Borse assistono con impazienza all’evoluzione della situazione, e la differenza fra titoli di Stato italiani e tedeschi prima è calata e poi risalita. Questo permette ai sostenitori di Silvio Berlusconi di accreditare la tesi che il problema non era lui. Li aiuta l’andamento negativo delle altre piazze borsistiche, che conferma l’offensiva contro la moneta unica; e il fatto che l’Italia non abbia ancora il governo.
In questo breve interregno, riaffiorano le resistenze del Pdl e si accentua una strategia leghista del «tanto peggio tanto meglio». Umberto Bossi non è andato alle consultazioni con Monti. E come biglietto da visita gli manda un avvertimento irricevibile: o il premier accetta la riapertura del fantomatico «parlamento padano» il 4 dicembre prossimo, o scatta «l’autodeterminazione». Si tratta di un messaggio obliquo. Formalmente viene rivolto a Monti, ma sembra indirizzato al Quirinale proprio nella fase finale delle celebrazioni per il 150° dell’Unità  d’Italia. La Lega riemerge da tre anni e mezzo di governo Berlusconi indebolita e divisa al proprio interno. Tornare ad attaccare «Roma», evocare di nuovo la secessione, attaccando insieme «super-Mario» e il Pdl che avrebbe «tradito» il Carroccio, è un’operazione a tavolino.
Almeno nelle intenzioni, serve a ritrovare il contatto con la militanza più arrabbiata, ricucire i contrasti interni e far dimenticare l’alleanza con il presidente del Consiglio dimissionario. Ma come piattaforma elettorale appare rischiosa e un po’ logora. Sconta il fallimento della strategia moderata, da forza di governo responsabile, che Umberto Bossi aveva seguito con l’obiettivo di ottenere la riforma federalista; e anche la delusione per la sconfitta elettorale subita alle amministrative del maggio scorso. La Lega si sente in campagna elettorale, e sembra non avere smesso di scommettere sul crollo dell’Italia e della moneta unica europea in tempi brevi. E punta alle elezioni nella primavera del 2012. Si tratta di una prospettiva che nessuno si sente di escludere. Lo stesso Berlusconi ha ripetuto che è inutile porre termini a Monti, perché il centrodestra può togliergli l’appoggio in qualunque momento.
Non solo. Se ad esempio la Corte costituzionale ammettesse i referendum sul sistema elettorale da celebrarsi entro sei o sette mesi, il contraccolpo sul governo risulterebbe fatale. Ma le previsioni prevalenti sono che la Consulta potrebbe essere orientata a dichiararli inammissibili, viste le precedenti sentenze. E comunque, referendum a parte, il voto anticipato non sembra affatto inevitabile. Intanto, il presidente incaricato ieri ha ribadito che non accetterebbe di guidare un governo a tempo. I compiti che l’esecutivo dovrà  svolgere richiedono come minimo il traguardo del 2013 e della fine della legislatura. Altrimenti gli si «toglierebbe credibilità », ha osservato Monti nella sua prima conferenza stampa. E «al di qua» del 2013 non accetterebbe l’incarico. D’altronde, il giorno prima il capo dello Stato aveva ricordato a tutti che entro fine aprile 2012 scadranno circa 200 miliardi di euro in titoli di Stato, da ricollocare sul mercato.
Arrivare a quella scadenza in campagna elettorale significherebbe vanificare gli sforzi e i sacrifici che saranno chiesti nei prossimi mesi. Anche su questo Monti, nella sua prima conferenza stampa, è stato netto: «Trovo positivo che le forze politiche abbiano capito la serietà  del momento che stiamo attraversando». Si tratta di ridurre il debito pubblico e recuperare credibilità ; ma anche di ristabilire una coesione politica e sociale, ritenuta in sé un fattore di sviluppo economico. Nella sua visione, parte della crisi italiana dipende proprio dalla litigiosità  esasperata che ha lacerato la classe politica. È questo retaggio negativo che gli fa comprendere perché centrodestra e opposizioni esitino a partecipare al suo governo come alleati. Ma il loro appoggio è «indispensabile»; e la loro unità , necessaria non tanto a Monti ma all’Italia.

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