Il male minore

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Esiste un tipo di male visibile e clamoroso, capace di catturare schiere di ammiratori o di artisti attratti dalla circostanza che esso, costituendo una violazione delle regole, è molto più affascinante del loro rispetto. Eppure, nonostante il clamore, questo tipo di male “spettacolare” è molto meno interessante di quel male “basso” che attraversa la nostra esistenza quotidiana, e che, come la lettera rubata di Poe, non riusciamo a vedere proprio perché è di fronte ai nostri occhi. Del resto è evidente che ogni “grande” male, per poter conquistare tutta la scena, deve poter contare su una larga complicità , saper attivare un virus latente all’interno della nostra vita di ogni giorno. E’ questo “basso continuo” che ci interessa, questo male diffuso ed intrecciato alla nostra connivenza, alla rassicurante apparenza della “normalità “. Senza intercettare questi percorsi sottotraccia del male si corre il rischio di guardarlo da lontano, come se fosse estraneo a noi e alle nostre debolezze.
Ad Hannah Arendt va riconosciuto il merito di aver saputo cogliere, in un libro diventato famoso, questa dimensione “bassa” e normale del male, la sua banalità . Seguendo le sedute del processo ad Eichmann, Arendt rimase sorpresa: il massimo responsabile organizzativo dell’Olocausto non era una riproduzione in miniatura di quel campione del male che fu Hitler, ma un uomo scialbo ed insignificante, che si difendeva sostenendo di essersi limitato ad eseguire nel modo più solerte e scrupoloso ordini superiori. Il male non è lontano dalla normalità , ma spaventosamente intrecciato ad essa. Eichmann, dice Arendt, era un “cittadino ligio alla legge”, costantemente teso a riscuotere l’approvazione dei suoi superiori. Ed è stato questo richiamo alla fedeltà  all’ordine e agli ordini superiori che ha consentito a lui e ai suoi concittadini di occultare anche a se stessi il male che stavano facendo ad altri. Nello stato totalitario le grandi qualità  dell’efficienza e dell’ordine si sono trasformate in incubatrici del male. Quest’ultimo, nel terzo Reich, “aveva perduto la proprietà  che permette ai più di riconoscerlo per quello che è – la proprietà  della tentazione”. Il totalitarismo produce un inquietante rovesciamento delle parti; laddove il male è ordinario e banale è il bene che diventa una tentazione: “Molti tedeschi e molti nazisti, probabilmente la stragrande maggioranza, dovettero essere tentati di non uccidere, non rubare, non mandare a morire i loro vicini di casa, (…) di non trarre vantaggi da questi crimini e divenirne complici. Ma Dio sa quanto bene avessero imparato a resistere a queste tentazioni” (156-157).
Ma per fortuna il totalitarismo, la dismisura dello Stato, almeno in Europa, è alle nostre spalle. Resta però da chiedersi: insieme con il totalitarismo è scomparso, come pretendeva Fukuyama, anche il male, oppure esso ha assunto un’altra forma, ugualmente invisibile e “banale”, che non riusciamo a vedere perché è strettamente intrecciata alla nostra normalità ? Del resto in questi anni non sta diventando sempre più evidente che alla dismisura dello Stato sta succedendo quella del mercato e del danaro? E se questo passaggio è realmente in corso, perché facciamo fatica a resistere ad esso, che cosa ci rende complici, o almeno collaborazionisti di questa dismisura?
La risposta, al fondo, è meno difficile di quanto si possa immaginare. Come a suo tempo ha sottolineato Marx e poi in modo più diffuso Simmel, tra l’espansione del ruolo del danaro e quella della libertà  individuale esiste una correlazione fortissima. Il danaro possiede la straordinaria capacità  di incrementare la libertà  dell’individuo, perché chi desidera un bene oggi non deve più chiedere l’autorizzazione a nessuno, seguire regole o principi, ma solo possedere la somma necessaria per acquistarlo. L’individuo è la massima potenza relativistica, che si libera da tutte le soggezioni personali e normative consegnandosi all’unica soggezione del danaro. Espansione della libertà  individuale ed espansione della forma danaro sono quindi due facce della stessa medaglia: da un lato il danaro favorisce la dissoluzione di tutti i legami che frenavano la libertà  individuale, dall’altro l’espansione di quest’ultima richiede la smisurata estensione della forma danaro e del mercato.
Il mondo nel quale l’individuo e l’individualismo si diffondono è quindi lo stesso in cui un’area vastissima di relazioni, esperienze e prestazioni precedentemente escluse dalla sfera dell’universale scambiabilità  (la cura, il corpo, gli affetti, l’attenzione per l’altro, ecc.) diventano merci. Anche in questo caso è la dismisura, lo strapotere di una forma, ad occultare la realtà : un mondo in cui tutto è in vendita altro non è che l’organizzazione quotidiana e sistematica della tentazione. La famosa massima di Oscar Wilde: “a tutto so resistere tranne che alle tentazioni” ha perso il suo carattere trasgressivo ed è diventata banale, la regola imperante in un mondo affollato da miriadi di piccoli Wilde.
Non può quindi destare meraviglia che in questo mondo di individui “liberi” il capitale finanziario divenga la forma universale di connessione sociale, il luogo di concentrazione di un potere capace di governare il destino di un’enorme massa di esseri umani. Individuo e capitale finanziario possono conoscere momenti di conflitto, ma, essendo, come si è detto, due facce della stessa medaglia, sono legati a filo doppio. Mentre l’individuo erode, dal basso, ogni legame non volontario, il moto perpetuo del capitale finanziario erode, dall’alto, tutte le istituzioni fondate su principi diversi da quello dell’incremento dei profitti. L’individuazione di questa connessione tra individualismo radicale e dominio del capitale finanziario, che sfugge a gran parte della cultura laica, ci fornisce un’indicazione anche se solo iniziale su come agire. Negli ultimi mesi e a partire dagli Stati Uniti, la necessità  di riportare sotto un controllo comune il capitale finanziario sembra essersi fatta spazio nella coscienza dei movimenti giovanili. Ma il passaggio non sarà  né facile né lineare: frenare il predominio globale del capitale finanziario sarà  possibile solo se l’individuo saprà  uscire dalla sua forma attuale ed imparerà  a muoversi insieme agli altri individui, a costruire prospettive nuove e parametri alternativi rispetto a quelli dominati dalla connessione tra individuo e danaro, senza cadere in altre dismisure, nella trappola di comunità  chiuse e contrapposte tra loro. E’ un processo lungo, impegnativo e difficile, che ci chiederà  di guardare in modo diverso anche ciò che amiamo. Ma capire quanto intricato e doloroso sia il nodo che si vuole sciogliere è la premessa di ogni vero cambiamento.


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