Il governo sfiducia Guarguaglini altri dieci manager indagati dai pm

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ROMA – È bastato un quarto d’ora di colloquio con il sottosegretario Antonio Catricalà  per scrivere la parola fine all’avventura di Pierfrancesco Guarguaglini alla guida di Finmeccanica. Quindici minuti e il manager di più lungo corso tra quelli di aziende a partecipazione pubblica ha capito che la sua sorte era definitivamente segnata. Era entrato per ribadire ancora una volta la sua innocenza. Non c’è stato niente da fare. Non c’è un’altra chance, la sua posizione è compromessa. E non solo per l’iscrizione nel registro degli indagati e il sospetto dei pm di una «complicità », sua personale e di Finmeccanica, nel sistema di sovrafatturazioni e tangenti scoperchiato dalla procura di Roma. Sotto accusa c’è anche la posizione di sua moglie, Marina Grossi, amministratore delegato della controllata Selex Sistemi Integrati, quella che, attraverso una serie di falsi contabili, avrebbe finanziato imprenditori, manager e politici.
Martedì l’invito del premier alla «responsabilità ». Ieri il faccia a faccia con il rappresentante dell’azionista. Per questo, dopo essere uscito da Palazzo Chigi, Guarguaglini ha avuto un incontro anche con il direttore generale del Tesoro, Vittorio Grilli: il ministero dell’Economia detiene la maggioranza di Finmeccanica con il 30,2 per cento delle azioni. Colloqui rapidi, non c’era molto da dire. Per il governo è già  iniziato il conto alla rovescia. Nonostante l’ostinazione dell’uomo che da quasi dieci anni siede sulla sedia più alta di piazza Montegrappa. Non ne vuole sapere di lasciare, Guarguaglini. Ma ormai non può più sottrarsi: dopo aver parlato anche con l’amministratore delegato di Finmeccanica, Giuseppe Orsi, è stato deciso di convocare un consiglio di amministrazione straordinario. La data ancora non c’è, ma sarà  in settimana. Durante la riunione, verranno ritirate le tre deleghe che sono state affidate al presidente (relazioni esterne, strategie e internal audit) e, a quel punto, dovrebbe essere lo stesso Guarguaglini a rassegnare le dimissioni. E mettere così la parola fine su una questione che, ormai da un anno, mette in imbarazzo l’azienda e non solo.
Mentre la politica e l’economia cercano di arginare lo scandalo, l’inchiesta va avanti. Sono ormai saliti a quota venti gli indagati. I magistrati titolari del fascicolo, l’aggiunto Alberto Caperna e i pm Paolo Ielo, Rodolfo Sabelli e Giovanni Bombardieri, hanno iscritto in questi giorni un’altra decina di manager. Persone che contribuivano ad alimentare il sistema. Solo dirigenti d’azienda, nessun deputato, come ha precisato lo stesso Ielo: «Nessun parlamentare, diverso da Giuseppe Naro e Marco Milanese è iscritto al registro degli indagati».
Il tesoriere dell’Udc è finito nel mirino per una presunta tangente. A fare il suo nome era stato l’imprenditore Tommaso Di Lernia che agli inquirenti ha raccontato di aver consegnato al parlamentare 200mila euro in contanti per Casini e Cesa, su mandato dell’ad di Enav, Guido Pugliesi (che verrà  interrogato oggi). Accuse che Naro ha smentito. Ai magistrati, il 31 ottobre, ha detto che fu Di Lernia a proporsi «dicendo che avrebbe voluto finanziare il partito in vista delle prossime elezioni, facendo tutto secondo le regole. Mi era stato presentato da Guido Pugliesi, però non diede seguito a quelle sue intenzioni». La sua versione, però, non ha convinto le toghe che lo hanno indagato.
Intanto l’Italia dei Valori continua a chiedere che si faccia chiarezza. «Lo scandalo Finmeccanica – ha detto Di Pietro – è l’abominevole prosecuzione della tangentopoli della Prima Repubblica. È la mafia bianca, più sporca di quella nera. Anche noi siamo stati contattati per avere qualche tozzo di pane, ma abbiamo detto no, perché rifiutiamo di partecipare alle lottizzazioni e condanniamo questo sistema corrotto»


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