Il custode del rigore, che blocco Bill Gates
MILANO — Forse ieri Mario Monti per prima cosa avrà ripensato a quando proprio lui, nel febbraio 1986, ha chiesto con lettera aperta pubblicata dal Corriere della Sera all’allora presidente della Repubblica Francesco Cossiga la nomina a senatore a vita di Paolo Baffi. Nell’appello, sottoscritto con Ricardo Franco Levi, c’era il senso dell’onore evidentemente rintracciato per una nomina che poteva figurare come un risarcimento dello Stato al governatore della Banca d’Italia che, per aver fatto muro contro le trame del sistema P2-Sindona-Calvi, era stato accusato ingiustamente e alla fine si era dimesso da Via Nazionale.
Un quarto di secolo dopo a ricevere «quella nomina» è ora lo stesso Monti, uno degli italiani che può vantare un curriculum fra i più europei, con una vocazione internazionale che ha ispirato anche la sua presidenza alla Università Bocconi. Carica «ereditata» da Giovanni Spadolini, al quale è stato spesso paragonato oltre che per affinità intellettuali e spirito liberale, anche per i numerosi incarichi da «tecnico» che ha ricoperto. Spesso su indicazioni che potrebbero essere definite bipartisan, nel senso che sono arrivate sia da governi di centrodestra sia di centrosinistra.
Con Spadolini poi ha condiviso sempre l’europeismo. E sarà probabilmente il richiamo all’«Agenda 2020» uno dei suoi primi atti da senatore a vita nei quali potrà essere cercata, da chi lo desidera e anche da chi proprio non se lo augura, una prima traccia di «programma» ideale da (eventuale) nuovo premier. Ne ha riparlato pubblicamente solo qualche mese fa definendo quegli impegni sottoscritti dall’Europa come un «ancoraggio che per l’Italia è particolarmente importante sfruttare». Ancoraggio che del resto, alla luce anche degli impegni stringenti nei confronti della Ue, assume un significato ancora più forte quando si ricorda una delle frasi che forse descrive meglio l’italiano-europeo Monti: quando, nel ’99, il suo nome è stato in ballottaggio con quello di Emma Bonino per il posto di commissario Ue, il giorno dopo la sua nomina Marco Pannella ha organizzato una conferenza stampa per sostenere che «con Monti» avevano vinto i «poteri forti». E lui a un giornalista ha risposto così, sorridendo: «Di poteri forti non ne conosco. Tranne uno: l’Europa e da oggi mi fa piacere aver contribuito a renderlo più forte».
Del resto non era nemmeno la sua prima volta in Commissione. Il suo nome per la nomina viene segnalato come indipendente nel 1994 dal governo di Silvio Berlusconi. E gli vengono assegnate le deleghe a Mercato interno, servizi finanziari e integrazione finanziaria. Ma è nel suo secondo incarico, quello appunto conteso con Emma Bonino, che Monti diventa SuperMario. Perché questa volta, riconfermato per la Commissione Prodi da Massimo D’Alema, riceve la delega alla Concorrenza. Diventa dunque il numero uno dell’Antitrust europeo. E con la «sfida» alla Microsoft di Bill Gates afferma con i fatti che l’Europa può diventare più forte, se lo vuole.
Il 14 dicembre ’98 un camion si ferma in Avenue Cortenbergh a Bruxelles e scarica le molte scatole che contengono le carte e le carpette del ricorso di Sun Microsystem alla Commissione europea contro il gigante Microsoft. Una causa che si protrae per anni. Nel 2004 Monti infligge al gruppo americano una maximulta da 497 milioni di euro e lo condanna a consegnare agli altri produttori i codici sorgente di Windows per rendere i server compatibili con quello di Gates. Una sentenza che segna una svolta anche nell’hi tech: Monti ha spiegato più tardi che la Commissione non ha accettato, pur rischiando, un compromesso perché era fondamentale «stabilire una certezza giuridica su cosa vuole dire abuso di posizione dominante nelle tecnologie dell’informazione e della comunicazione». E sette anni dopo un «riconoscimento» gli viene attribuito proprio dagli Stati Uniti quando, qualche mese fa, Monti è il primo non americano a ricevere l’Antitrust Achievement Award, premio che l’American Antitrust Institute attribuisce ogni anno.
Per la Commissione non verrà più appoggiato da Berlusconi del 2004. Ma in Europa Monti continua a svolgere un ruolo fondamentale. E chi aspira ad assegnargli come riduttiva l’etichetta di tecnico, dovrebbe seguire con attenzione il percorso diplomatico e di ricerca di consenso che Monti effettua nei 27 Paesi quando, su incarico del presidente Josè Barroso, lavora al rapporto risultato fondamentale e presentato nel maggio 2010 sulla integrazione fra le varie economie mirato a rimuovere gli ostacoli al mercato interno e a organizzare una strategia per il suo rilancio. Spezzando anche una lancia a favore degli eurobond. Nel nome della convergenza.
E proprio sull’Europa e sull’euro Monti, da editorialista del Corriere della Sera, rivolge, pur con la consueta forma pacata, discreta e in sintesi «british», una delle critiche più severe a Berlusconi nella «Lettera al premier» intitolata «L’euro, la crisi e il nostro Paese» pubblicata il 30 ottobre. Gli ricorda le sue parole: «L’euro non ha convinto nessuno» e lo ammonisce: «A ogni rialzo dei tassi, dovuto alla scarsa fiducia nell’Italia, Lei finisce per imporre sacrifici ancora maggiori agli italiani. Anche le parole non sorvegliate hanno un costo». Parole molto sorvegliate e con uno sfondo tecnico, critiche che peraltro ricorrono con grande frequenza nei suoi ultimi scritti. Si può rintracciare la volontà o anche solo la disponibilità a guidare un nuovo governo? Lui, che dice «di non aver mai partecipato alla disputa fra governo tecnico sì governo tecnico no», ha sempre sottolineato di preferire «i governi politici, che guidino i cittadini nelle scelte anche difficili da fare». Tuttavia, quando dopo il ribaltone di fine ’94 gli è stato proposto dal presidente Oscar Luigi Scalfaro di guidare un nuovo esecutivo, Monti ha declinato l’invito. Ma non per un dubbio sulla natura tecnica o politica del governo. Bensì ha subordinato la disponibilità all’ampiezza dell’appoggio. E per la stessa ragione ha rifiutato altre offerte da parte di Berlusconi (ministro degli Esteri nel 2001 e dell’Economia in sostituzione di Giulio Tremonti nel 2004). Perché se c’è un’anima politica nel tecnico Monti risiede proprio nel «dovere del consenso». Che può far dire di no. Ma pure di sì a chi ha reso più forte l’Europa anche battendo Bill Gates.
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