Il bullo Barack Obama

Loading

PECHINO. «Siamo qui per rimanerci». Quindi non taglieremo la spesa militare per l’area «Asia-Pacifico», che per la sicurezza degli Stati uniti rappresenta una «priorità  assoluta» da difendere anche con l’invio in Australia di 250 marine, che nel giro di qualche anno saliranno a 2500. Davanti al parlamento australiano, in uno dei più articolati tra i suoi discorsi di politica estera, ieri il presidente Usa ha ribadito la strategia nordamericana nella regione lanciando una sfida alla Cina, seconda economia del pianeta e potenza egemone nel Pacifico.
Barack Obama ha spiegato perché gli Usa intendono affermarsi come «potenza pacifica» (occhio: dell’oceano Pacifico, non nazione pacifica): «Con la maggior parte delle potenze nucleari e circa la metà  della popolazione mondiale, l’Asia contribuirà  in maniera decisiva a determinare se il secolo che abbiamo davanti sarà  segnato da conflitti o cooperazione, da inutili sofferenze o progresso umano».
Sarà  Darwin, la «Pearl Harbour dell’Australia» (coi bombardamenti giapponesi, nel 1942 lo Stato finì per la prima volta sotto attacco straniero) ad accogliere nel 2012 una portaerei e 250 truppe speciali a stelle e strisce che, entro il 2016, verranno portate a 2500. Il Pentagono va incontro a tagli per 450 miliardi di dollari nei prossimi dieci anni e si ritira (parzialmente e gradualmente) dall’Iraq e dall’Afghanistan, ma Washington prova a rallentare il suo declino riposizionando la sua mostruosa macchina da guerra.
Accanto al primo ministro Julia Gillard e in mezzo a centinaia di militari australiani che a Darwin lo hanno acclamato come una rock star, Obama ha annunciato che quella che sarà  una vera e propria task force dei marine sorgerà  nella città  portuale del nord dell’isola-continente, a 820 chilometri dalle coste indonesiane, non lontano dal Mare cinese del sud.
Le reazioni da Pechino non si sono fatte attendere. «Di fronte a una depressione economica globale, che allargare le alleanze militari rappresenti un modello efficace d’integrazione regionale è davvero discutibile», ha dichiarato il portavoce del ministero degli esteri Liu Weimin. L’agenzia di stampa ufficiale Xinhua ha ricordato che «rischiando di scatenare o alimentare tensioni nella regione, negli ultimi anni gli Stati uniti hanno inscenato decine di esercitazioni militari con i loro alleati Giappone, Filippine e Corea del sud». E un editoriale del populista Global Times ha puntato l’indice contro Canberra: «Forse Gillard ignora che la sua cooperazione economica con la Cina (il primo partner commerciale, ndr) non rappresenta alcuna minaccia per gli Usa, mentre l’alleanza militare Australia-Usa serve a contrastare la Cina».
Certo Obama – in quello che alcuni commentatori hanno giudicato un discorso dai toni «da bullo» – ha lodato il ruolo della diplomazia della Repubblica popolare sul nucleare nord-coreano come un esempio dei risultati raggiungibili quando le due super-potenze cooperano. Ma ha insistito che «abbiamo bisogno di una crescita giusta, in cui ogni nazione gioca secondo le regole, in cui i diritti dei lavoratori sono rispettati» e in cui «le valute sono guidate dal mercato, cosicché nessuna nazione abbia vantaggi ingiusti».
Di fatto è già  iniziata la campagna per le elezioni presidenziali Usa del novembre 2012 ma, a un livello più profondo, si agitano le tensioni commerciali acuitesi assieme alla crisi del capitalismo globale. L’export di pannelli solari cinesi – ha denunciato ieri Pechino – sta incontrando ostacoli perché il governo Usa ha aperto un’indagine per sussidi statali illegali al settore. Lo scontro sulle rinnovabili è l’ultimo di una lunga serie (dai polli agli pneumatici) che negli ultimi mesi ha contrapposto Washington e Pechino.
Contrasti sullo sfondo dei quali si è aperto ieri a Bali, in Indonesia, un vertice dell’Associazione delle nazioni del Sud-est asiatico (Asean) nel quale gli Stati uniti, che vi partecipano per la prima volta, si aspettano una «discussione sincera» sulle dispute territoriali nel Mar cinese meridionale che oppongono i suoi alleati da un lato e la Cina dall’altro. Per Pechino, che nei giorni scorsi ha ribadito più volte di voler trattare quei problemi a livello bilaterale e non in un consesso internazionale, quello degli Usa è un ingresso a gamba tesa.


Related Articles

Parigi, notte di battaglia nel metrò la polizia di Sarkozy sotto accusa

Loading

Otto ore di violenze alla Gare du Nord dopo il fermo di un congolese senza biglietto (la Repubblica, GIOVEDÌ, 29

Venti uccisi nelle proteste in Iran. Riformisti con Rohani e contro Usa e Trump

Loading

Iran. A Tehran 450 arresti. La guida suprema Khamenei accusa «i nemici» esterni del paese di essere dietro le manifestazioni

“Bin Laden è morto da eroe l’America pagherà  col sangue” l’ultimo proclama di Al Qaeda

Loading

La rete del terrore ammette la perdita del suo leader. “La lotta continua, lo sceicco ha creato un’organizzazione che non scompare con lui”. Tensione negli Usa La Casa Bianca: “Siamo ancora alle intenzioni, ma restiamo vigili” 

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment