by Sergio Segio | 27 Novembre 2011 8:34
CAROVIGNO (Brindisi). È stato l’ultimo soffio a spezzare la vela. E a schiantare il sogno. Tutto quello che rimane, ora, sugli scogli di Carovigno, tra Brindisi e Bari, sono due morti per terra.
Un terzo sicuro in fondo al mare, una trentina di persone accatastate intorno alle ambulanze con le coperte e le lacrime addosso, altri trenta di loro in fuga per le campagne della Valle d’Itria, nascosti mezzo ai trulli, agli ulivi intrecciati e ai muretti a secco. O forse, si teme, annegati in fondo al mare dei migliori ricci di Puglia. Quello che rimane è Gloria, questa barchetta a vela lunga 12 metri che batte bandiera americana ma anche italiana e sembra il veliero di Truman Show. Il fatto che non si sia scagliata contro un cielo di cartone ma su due scogli dell’Adriatico in fondo è un particolare: comunque, ha sbattuto contro un sogno.
«Italia, Italia» dicono quelli che sono rimasti, avvolti nelle coperte termiche fluorescenti agli operatori della Croce Rossa. Sono tutti uomini. Hanno trent’anni almeno. Portano scarpe da ginnastica e pantaloni scuri. Maglioni in lana pesante, qualcuno ha la giacca a vento. Sono iracheni e pakistani, c’è chi dice di arrivare dal Bangladesh. Parlano poche parole in inglese, e uno strano dialetto (tanto che le forze di polizia hanno avuto grosse difficoltà a trovare traduttori). “Vii” e qualche altra consonante dice di chiamarsi uno di quelli che parla più di tutti l’inglese. «Ho pagato tremila euro per il viaggio – ha raccontato ai soccorritori, tirandosi fuori le tasche di un pantalone di velluto liso, per spiegare che non gli era rimasto più nulla – Sono arrivato in un posto della Turchia e partito con la barca a vela da lì, cinque giorni fa. Sono passato dalla Grecia due giorni fa e abbiamo puntato l’Italia. Dovevano arrivare nella zona di Bari poi nella mattinata di ieri il mare si è alzato». Hanno cambiato la rotta ma il vento si è fatto sempre più forte, le vele non hanno tenuto e sono finiti tutti a mare. C’era chi non sapeva nuotare: è morto. C’era chi sapeva a mala pena galleggiare, e ha raggiunto stremato la riva, per zoppicare, inciampare nella terra rossa di Puglia pur provando comunque a fuggire. C’era chi non ce la faceva. E allora si è buttato nelle braccia dei soccorsi (chiamati da alcune persone della zona che hanno sentito le urla dei naufraghi), rinunciando a ogni aspirazione d’occidente.
Dopo lo sbarco, lo spettacolo è stato se possibile ancora più tragico. Il vento non si è fermato, il mare era crespo, le onde si alzavano e ogni qual volta si intravedeva una macchia più scura si gridava: poteva essere un copertone, una boa, un effetto ottico oppure poteva essere un uomo morto. «Children, children?» chiedevano i ragazzi della Croce rossa e i ragazzi facevano segno di no con la testa e indicavano uno di loro, 16enne forse, giurando fosse il più piccolo della comitiva, una comitiva di soli uomini. «No, no, no, no» fanno tutti segno così con la testa, poi si buttano a terra e insieme piangono. Parlano tra loro, fanno il conto di chi è fuggito e chi non ce l’ha fatta. Sono tutti zuppi, chiedono un panino e hanno paura di sapere dove finiranno: due sono andati in ospedale con fratture alle gambe, gli altri sono montati su un pullman e trasportati al Cara di Restinco.
Una beffa. Dicono le indagini della magistratura che proprio i Cara sono diventati in Puglia i centri di coordinamento degli scafisti: è qui che vengono organizzati i nuovi sbarchi in una regione che è di nuovo al centro delle rotte internazionali. Non a caso il presidente della Regione, Nichi Vendola ha chiesto l’intervento del governo Monti: «Non possiamo più convivere con queste tragedie: serva umanità e solidarietà ». Un tempo su queste coste arrivavano barconi come la Vlora, quando a Bari arrivarono ventimila albanesi (1991). Oppure a centinaia sbarcavano sulle coste salentine con i gommoni velocissimi dei contrabbandieri di sigarette. Ora i clandestini salgono su barche a vela e catamarani, per non dare nell’occhio e sfuggire ai controlli nel canale d’Otranto. Lo chiamano il “corridoio otto” della malavita, oltre agli uomini passano armi e droga: si parte dall’Afghanistan, si arriva in Turchia, si passa dalla Grecia e si punta l’Italia. «Le organizzazioni criminali che si occupano del traffico di clandestini – ragiona un alto investigatore – si muovono secondo una geometria variabile. Sono chiaramente molto sensibili alla legislazione e ai provvedimenti presi. Ma il principio è quello dei vasi comunicanti: con la chiusura del fronte spagnolo prima, poi di quello libico, in qualche maniera devono passare. E così i Balcani, e dunque la Puglia, sono tornati di moda, seppur con metodologie diverse. Una nuova Vlora oggi è impossibile». Eppure vent’anni dopo c’è chi continua a sognare per mare.
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