by Sergio Segio | 2 Novembre 2011 7:20
Dobbiamo allarmarci? Siamo troppi? Un peso insostenibile per il pianeta? Vecchio dibattito: negli anni ’50 e ’60 del secolo scorso si parlava molto di «esplosione demografica» (nel saggio «The population bomb», pubblicato nel ’68 e diventato presto un best seller, i coniugi Erlicht sostenevano l’urgenza di frenare la crescita della popolazione con programmi di controllo delle nascite, per evitare un futuro di fame, carestie e guerre).
Oggi molto è cambiato, per fortuna. Al linguaggio della «bomba demografica» si è sostituito quello della «salute riproduttiva»; ai programmi più o meno autoritari di controllo delle nascite (che in molti casi si sono tradotti in campagne coercitive, le sterilizzazioni di massa in India e in molti altri paesi del «terzo mondo», l’obbligo del figlio unico in Cina) si è sostituita l’idea che i comportamenti riproduttivi non si possono imporre – e che famiglie (donne, in primo luogo) istruite, sane e con un reddito decente e possibilità di fare libere scelte hanno molte più probabilità di fermarsi a un numero di figli ragionevole. E questo è ormai dimostrato dai fatti.
Resta il fatto che l’umanità cresce, e anche se la fertilità (il numero di figli messo al mondo da ogni donna) tende a calare ovunque, la popolazione umana nella fascia d’età adatta a fare figli è così ampia, che continuerà a crescere. Così, mentre i demografi cercano di fare previsioni e l’Onu disegna scenari (quanti saremo nel 2100? in che anno l’India sorpasserà la Cina?), il dibattito riprende.
Scienziati e ambientalisti la mettono in termini di sostenibilità : può il pianeta Terra sostenere una popolazione umana così numerosa – produrre cibo, mettere a disposizione acqua, smaltire rifiuti e reflui inquinanti prodotti dalle varie industrie di cui gli umani si servono? A naso si direbbe di no: il pianeta è già in affanno, vediamo già il clima cambiare per effetto dei gas che le nostre industrie, veicoli e centrali elettriche continuano a sparare nell’atmosfera… Sette miliardi di umani «pesano», in senso ecologico. Ma sarebbe ipocrita tornare a metterla nei termini di «bomba demografica». Oggi 925 milioni di persone (quasi un miliardo, dunque un umano su 7) soffre la fame, secondo le stime delle Nazioni unite, ovvero abbiamo circa 100 milioni di esseri umani «affamati» in più rispetto a quattro anni fa. Ma il motivo non è che il pianeta non produce abbastanza cibo per loro: è che non hanno soldi e mezzi per comprarlo, i prezzi delle derrate alimentari sono schizzati in alto (e sono oggetto di speculazione), la distribuzione del reddito è diseguale, parte delle derrate si perde nel processo di raccolto e distribuzione, altrove si preferisce coltivare per fare agrocarburanti invece che cibo, ci sono intere regioni dove gli agricoltori sono espulsi dal mercato e quindi spinti ad abbandonare la terra… Insomma: non è ancora un problema di penuria, ma di iniquità e inefficenza.
L’ultimo rapporto del Programma dell’Onu per la popolazione (Unfpa) sottolinea che il mondo dovrà affrontare a breve termine problemi pressanti: trovare lavoro per un crescente esercito di giovani, gestire società dove al contrario la popolazione invecchia, governare le migrazioni umane, gestire la crescita di agglomerati urbani, far fronte al cambiamento del clima che provoca cicli sempre più frequenti di siccità e carestie – perché è pur vero, una popolazione in crescita significa pressione sulle risorse naturali. E tutto questo, conclude l’Unfpa, non è tanto una questione di spazio sul pianeta: è questione di equità , opportunità e giustizia sociale.
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