by Sergio Segio | 23 Novembre 2011 17:54
La settimana scorsa la Germania ha vinto la seconda guerra mondiale. Ops. L’ho detto a voce alta? Naturalmente non con le armi. Noi, nuovi tedeschi buoni, abbiamo vinto con i miliardi.
La vecchia Unione europea non esiste più. Quella che ci è stata raccontata a scuola o negli articoli di fondo. Quella che prometteva un cappuccino per tutti e un soggiorno nel Mediterraneo ai pensionati tedeschi. Quella che dovrebbe coinvolgere, contenere, o non so che altro, la Germania, almeno per questo Helmut Kohl e Franà§ois Mitterrand si sono dati la mano mentre tutti gli altri stavano a guardare.
È il momento del tedesco buono. Per lo meno questo dicono gli svizzeri con cui ho parlato. Vogliono sapere come si sente, cosa pensa, cosa vuole il buon tedesco che paga il fallimento dello stato degli altri, dei greci, dei portoghesi e forse presto anche degli italiani. “E poi tocca alla Francia”, ha titolato Le Monde. Chi può ancora parlare dell’accoppiata Merkel-Sarkozy?
La Germania è arrivata là dove non avrebbe mai dovuto essere e i tedeschi non l’hanno notato affatto. È un po’ come il conflitto in Afghanistan: finché non è permesso usare la parola guerra, uno potrebbe anche non pensarci, alla guerra. Adesso tutti parlano di cifre e di fondi salva-stati, solo per non dire che l’Europa dipende dalla Germania.
Il ministro delle finanze Wolfgang Schà¤uble ha rilasciato un’intervista al Financial Times in cui ha presentato il suo piano per una politica fiscale centrale conforme, è ovvio, ai parametri tedeschi.
Quindi Angela Merkel da sola a casa e un’Unione europea tedesca, di cui si sa solo che gli italiani non dovrebbero più essere italiani. Cosa questo significhi di preciso non è ancora chiaro – men che meno per i tedeschi, che come sempre non hanno la minima idea di chi sono o di cos’è la loro anima o se ne possiedono una o se la vogliono avere. Per questo c’è un grosso libro, Die deutsche Seele (“L’anima tedesca”), grazie a cui possiamo capire cosa c’è di profondamente tedesco in cena, abisso e mania del lavoro da un lato e in Winnetou (l’apache protagonista dei romanzi di Karl May), wurstel e travaglio interiore dall’altro.
Il libro, quasi seicento pagine in edizione di lusso, è intenso, pesante e ossequioso. Gli autori Thea Dorn e Richard Wagner sguazzano fino al ginocchio nel Romanticismo, il presente li sfiora solo occasionalmente, l’anima tedesca deve essere andata perduta nel bosco, da qualche parte, nell’ottocento. Ma oggi, scrivono Dorn e Wagner, percepiscono “una crescente nostalgia della Germania” tra i Bierleichen, gli ubriaconi che vivono coi sussidi di disoccupazione, e i piccolo-borghesi sessantottini. La Germania, dicono, “si è esaurita”.
Vista da fuori sembra tutt’altro. Der deutsche Genius (“Il genio tedesco”) dell’inglese Peter Watson, quasi mille pagine nelle quali l’autore manifesta la sua ammirazione per la cultura germanica, descrive in modo intelligente come il presente ha assunto una forma tedesca. Boom, rivoluzione, disincanto, l’universo, l’anima, l’oggi spoglio. Il mondo nel quale viviamo è tedesco.
Lo sono anche i libri che sostengono il nostro trionfo culturale in Europa? Anima inquietante dentro e genio immenso fuori? È bello non essere più i vecchi tedeschi cattivi, tonti e un po’ naà¯f. Ma cosa siamo ora? Siamo i tecnocrati con Goethe sotto il braccio. (traduzione di Anna Franchin)
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