I partiti e il digiuno che serve alla politica

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La politica ha un guinzaglio al collo. E in conclusione tutte le nostre istituzioni vanno in purgatorio. Tutte tranne una: il presidente della Repubblica. Che d’altronde nelle situazioni d’emergenza diventa giocoforza il «reggitore» dello Stato, come diceva Carlo Esposito, e prima di lui Carl Schmitt. Aiuto!, verrebbe da strillare. Ma prima di rivolgerci all’Onu, sarà  meglio riepilogare a mente fredda i fatti. E i misfatti, come no: ne ha commessi Napolitano? In realtà  le due sole decisioni del nostro presidente sono altrettante nomine, anche se il nominato è sempre uno: Mario Monti. Il neosenatore a vita, il neopresidente del Consiglio. Ma non c’è abuso in questa doppia nomina: mica li sceglie la Banca d’Italia, i senatori a vita. E d’altra parte Monti ne aveva tutti i requisiti, così come ha tutti i voti parlamentari per dirigere il governo. E allora perché circola la percezione d’un governo Monti-Napolitano? Perché la prima nomina ha condizionato la seconda, ne ha offerto, per così dire, l’antipasto. Un gesto di fantasia costituzionale, nei giorni in cui Berlusconi traccheggiava sulle proprie dimissioni, mentre i mercati reclamavano una soluzione di ricambio. Così Napolitano, usando una sua prerogativa (la nomina dei senatori a vita), ha indicato subito la via, e i partiti vi si sono incamminati. Insomma, il primo atto si è caricato di un surplus di significato, e ha favorito poi il secondo. Succede spesso negli atti costituzionali, dal momento che il loro oggetto è la politica. È successo perfino nel passaggio dalla prima alla seconda Repubblica, quando un referendum su profili minori della legislazione elettorale (la preferenza unica) finì per liquidare tutti i partiti storici della democrazia italiana. Dunque fin qui siamo alla fisiologia, non alla patologia costituzionale. Chi invece ha urgente bisogno d’un dottore è il Parlamento. Senza più dignità  e prestigio, da quando gli eletti si sono trasformati in nominati. Senza il timone dell’attività  legislativa, stando all’esperienza di questa legislatura (ogni mese 6 decreti dell’esecutivo con forza di legge, e appena una legge d’iniziativa parlamentare approvata nell’ultimo semestre). Senza l’opportunità  di decidere la crisi del IV Gabinetto Berlusconi, che è stata per l’appunto extraparlamentare (Prodi invece cadde per un voto del Senato). Ora senza più parlamentari nella nuova squadra di governo, come se esibirli in pubblico fosse indecoroso. Di più: senza un’opposizione all’interno delle Camere, fatta eccezione per la Lega; contraddicendo quindi la natura stessa delle assemblee legislative. Eppure questo suicidio programmato offre al contempo una prova di vitalità . Anzi: non è un suicidio, è piuttosto un digiuno, come quello cui ti sottoponi per guarire da una febbre intestinale. Ed è una scelta responsabile, stringersi un po’ tutti intorno al fortilizio pubblico, berlusconiani, antiberlusconiani, post berlusconiani. È la premessa d’un riscatto morale. Sennonché questa miscela di forza e altresì di debolezza si riflette a sua volta sul governo Monti. Può contare sul 95% dei voti in Parlamento, come non era mai accaduto, nemmeno ai tempi del delitto Moro, quando Andreotti battezzò un esecutivo di solidarietà  nazionale. Ma al contempo ogni forza politica ha poteri di veto, e perciò di vita sul governo. Sarà  dura navigare.


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