I nodi del consenso in Aula: dai paletti pdl alle riserve idv

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Eppure gli addetti al pallottoliere virtuale del Parlamento si vanno convincendo che, per il professore, far approvare le riforme che l’Europa ci chiede non sarà  una passeggiata. Tra Montecitorio e Palazzo Madama c’è chi prevede addirittura «un Vietnam», se dovessero essere confermate le voci di una tassa patrimoniale o del ritorno dell’Ici.
Il Pdl non chiude, però pianta paletti. E, come preannuncia Fabrizio Cicchitto, non darà  a Monti alcun «mandato in bianco». Sul fronte opposto l’Idv non si metterà  di traverso, ma non è disposta a offrire alcuna «fiducia al buio». Le incognite sono ancora tante e il primo a saperlo è il premier incaricato. «Prevede qualche problema per i provvedimenti impopolari…», conferma Silvano Moffa. A sentire il capogruppo di Popolo e territorio i suoi deputati «voteranno compatti la fiducia». Eppure Domenico Scilipoti già  si smarca: «Allo stato attuale io non la voto. L’Italia è stata commissariata dai poteri forti». Un altro no già  agli atti è quello di Gianfranco Rotondi. L’ex ministro non voterà  la fiducia e ha consegnato a Berlusconi una lettera di dimissioni in bianco, da usare qualora il suo voto dovesse essere determinante per la vita o la morte del futuro governo. Ma il problema non è certo Rotondi, quanto le forti fibrillazioni che agitano trasversalmente il Pdl. Ex ministri come Romani, Sacconi e Brunetta hanno già  espresso le loro perplessità , condivise dall’area degli ex An. Altero Matteoli ha riunito nei giorni scorsi una trentina di nemici giurati di un esecutivo di emergenza, ma la fronda potrebbe essere più ampia. «Alla Camera gli ex An sono 52 — rivendica il vice capogruppo Massimo Corsaro —. Però escludo voti difformi dalla linea del partito. Se decideremo di dire di sì lo faremo tutti assieme, sia pure a malincuore».
Nello staff terzopolista di Fini e Casini si ragiona anche degli scenari più foschi e si pesa il valore numerico di Claudio Scajola: un convinto sostenitore del governo del presidente, che può contare su un discreto numero di deputati. Al Senato gli scajoliani dichiarati sono quattro o cinque, ma gli amici di Beppe Pisanu sarebbero una buona dozzina, un drappello in grado di sostenere Monti anche in caso di strappi clamorosi. Ma il premier incaricato non si accontenterebbe mai di numeri risicati. «Monti vuole una maggioranza forte — spiega Roberto Rao, dell’Udc —. Farà  il governo, chiederà  la fiducia e poi, sulla base dei numeri, deciderà  se accettare o no». Al Senato il capogruppo di Coesione nazionale, Pasquale Viespoli, prevede una «maggioranza schiacciante». Ma il presidente dei 12 senatori idv, Felice Belisario, prima di sciogliere la riserva vuole vedere «con quale squadra e con quale programma» Monti si presenterà  alle Camere.


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