I Fratelli gli unici sicuri

by Sergio Segio | 27 Novembre 2011 8:26

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IL CAIRO.  L’ultima volta che gli egiziani furono chiamati a eleggere il parlamento il risultato fu di quelli bulgari. Il Partito nazionale democratico (Pnd) dell’ex presidente Hosni Mubarak conquistò l’81% delle preferenze.
È passato un anno da quel 25 novembre 2010, un anno in cui la rivoluzione dei 18 giorni ha fragorosamente aperto le porte per una transizione verso la democrazia. Le prime elezioni libere da 60 anni a questa parte avrebbero dovuto essere una tappa decisiva in questo processo. Ma dopo una settimana di violenta repressione che ha provocato più di 40 morti al Cairo, Suez e Alessandria, l’appuntamento elettorale rischia di essere percepito come una farsa per coprire la realtà  di un paese sotto dittatura militare.
Gli elettori egiziani sono chiamati a eleggere i 498 membri del Maglis al-Shabab, l’Assemblea del popolo, e i 270 della Shura, la camera alta. A loro volta gli eletti dovranno nominare un gruppo ristretto di rappresentanti con il compito di scrivere la nuova costituzione egiziana. Il sistema elettorale è estremamente tortuoso e suddiviso in tre turni elettorali.
Si comincia lunedì e martedì a Cairo, Alessandria, Luxor e Porto Said. Il 14 dicembre sarà  la volta di Suez, Aswan, Ismailyia, fino ad arrivare al 3 gennaio quando tocca al Sinai e alla costa mediterranea. Due terzi dei seggi saranno riempiti dalle liste di partito. Il resto verrà  colmato da candidati indipendenti in un sistema che rischia di favorire il riciclaggio di personalità  del vecchio regime.
Il panorama politico alla vigilia del voto è molto frammentato con un totale di 40 partiti e quattro coalizioni. A fare la parte del leone è Hurreya ua Adala (Libertà  e giustizia), il braccio politico dei Fratelli musulmani che accompagna un riferimento ai principi etici dell’Islam con un’orientamento economico di stampo liberale. Il loro serbatoio di voti è soprattutto la grande massa dei poveri urbani e rurali tra cui gli «ikhwan» sono ben radicati grazie alle loro iniziative di beneficienza.
Per dissipare le accuse di fondamentalismo i Fratelli hanno dato a vita ad una «Alleanza democratica» che comprende il partito liberale Ghad el-Gedid (Nuovo domani), capeggiato dal candidato alle presidenziali e perseguitato dell’era Mubarak, Ayman Noor, e i nasseristi moderati di Karama (Dignità ). Nelle parlamentari del 2005, meno manipolate di quelle del 2010, i Fratelli riuscirono a conquistare 88 rappresentanti alla Maglis al-Shabab, tutti eletti come indipendenti. Questa volta puntano alla maggioranza.
A fargli concorrenza a destra ci penseranno gli islamisti duri e puri dei salafiti dell’Hizb al-Nour, (Partito della luce), sui cui manifesti campeggiano candidati con lunghe barbe e «zibibba», il bernoccolo scuro in mezzo alla fronte, certificato di lunghe e intense preghiere. Il loro programma è riassunto nello slogan «il popolo vuole il volere di Dio»: sharia legge di stato. La loro roccaforte è l’Alto Egitto rurale. Al loro fianco si schiera il partito «Costruzione e sviluppo», filiazione di al-Gamaa al-Islamiya, organizzazione protagonista in passato di attentati contro turisti.
A fare da diga contro gli islamisti al centro si colloca l’alleanza «Blocco per l’Egitto» di orientamento laico, egemonizzata dai liberali di El-Masriin El-Ahrrar, che vanta tra i fondatori l’imprenditore delle telecomunicazioni Naguib Sawiris, già  proprietario di Wind e di religione copta. I loro principali alleati sono il partito social-democratico egiziano e il Tagammu, che si presenta come difensore delle conquiste sociali e delle nazionalizzazioni della rivoluzione del 1952, invise a imprenditori come Sawiris.
Se c’è un’alleanza che più delle altre ambisce a farsi portavoce di piazza Tahrir è quella denominata la «Rivoluzione continua». Il suo motore principale è l’alleanza socialista popolare che raggruppa partitini socialisti, comunisti e trotzkisti. Ma dentro ci sono pure gli «islamisti sociali» di Al Tayar Al-Masry, partito fondato da giovani dissidenti dei Fratelli musulmani, e i liberali di Masr al-Hurreya guidati dall’intellettuale Hamzawy.
Mentre in queste ore i partiti vanno a caccia di voti non si placa la violenza del regime militare. Due attivisti sono stati uccisi ieri di fronte alla sede del consiglio di ministri dove protestavano contro la nomina del nuovo premer Al-Ganzuri che promette di varare il nuovo esecutivo in 3 giorni. Di ieri anche la notizia dell’arresto di tre ragazzi italiani, con l’inverosimile accusa di aver incendiato una palma. Una storia che ricorda il recente arresto di tre studenti americani (poi rilasciati) a cui veniva addirittura imputato di aver lanciato molotov contro la polizia nei recenti scontri attorno a piazza Tahrir.
In molti temono che la rabbia generata dalla repressione sanguinosa della giunta militare contro le manifestazioni di protesta di questa settimana riesploda lunedì e martedì. Del resto in precedenti tornate elettorali si sono spesso verificati disordini, come nel 2010, quando si registarono 10 morti per violenze in prossimità  dei seggi. Quest’anno il bilancio rischia di essere molto più pesante.

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