by Sergio Segio | 26 Novembre 2011 8:21
Nel caso dell’adozione ormai vi è un diffuso consenso sulla opportunità che essa venga comunicata al bambino, per consentirgli di elaborarla, e con essa elaborare soprattutto sia l’essere stati abbandonati (o l’aver perso i genitori) che l’essere stati accolti. Sapere di essere adottato consente anche i eventualmente di cercare di rintracciare i genitori biologici una volta diventato adulto. In altri termini, la comunicazione dell’adozione consente al bambino di ricostruire la propria storia come storia non tanto biologica, quanto di relazioni.
Ma naturalmente per i figli della provetta è tutta un’altra cosa. La nascita a seguito di fecondazione cosiddetta eterologa non è assimilabile all’adozione. Qui non c’è abbandono o perdita dei genitori. C’è solo il fortissimo desiderio di una coppia di mettere al mondo una nuova vita. Significa allora che non debba essere comunicato al figlio/a come è venuto al mondo? Non credo, non solo per una questione di informazione sul proprio patrimonio genetico a fini sanitari. Piuttosto anche perché è opportuno che sappia che i genitori lo hanno fortemente voluto, superando ostacoli sia di tipo fisiologico che psicologico ed emotivo. Perché questo desiderio e gli ostacoli che ha superato fanno parte della sua storia: non deve essere una vergogna. Certo, il passaggio successivo può essere la curiosità di sapere chi è il donatore/donatrice. In alcuni paesi ciò è consentito dalla legge. Anzi, in Svezia è addirittura obbligatorio, ma da quando c’è questa norma il numero dei donatori è crollato.
È comunque un passaggio delicato e importantissimo, cui i genitori devono arrivare preparati, anche perché una scoperta tardiva potrebbe provocare ferite psicologiche peggiori. Ma dovrebbero arrivare a questo bivio dopo una lunga riflessione e soprattutto con una libera scelta. Non mi è chiaro in quale veste il comitato di bioetica dia indicazioni in merito. Non è un tema di bioetica, campo già scarsamente definito nei suoi contenuti disciplinari e scientifici e che non è opportuno allargare a dismisura, con più o meno autodefiniti bioeticisti che discettano su tutto il campo delle relazioni che hanno a che fare con la vita e con la morte. Riguarda l’etica e la psicodinamica delle relazioni familiari. Su cui gli esperti dovrebbero dare consigli in punta dei piedi.
Più che dare indicazioni su come comportarsi sui figli in provetta il comitato di bioetica dovrebbe riconsiderare il divieto assoluto di ricorrere a questa forma di riproduzione assistita sancito dalla legge in Italia, e sul quale la Consulta sarà presto chiamata a pronunciarsi.
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