Grido d’allarme delle banche italiane “Spread insostenibile, il governo agisca”
ROMA – «Spread così elevati non sono sostenibili. L’incertezza politica pesa sul merito di credito dell’Italia. Bisogna che il governo faccia subito vere riforme, per ridurre il debito e rilanciare la crescita». Le banche italiane affidano alla voce di Giovanni Bazoli il loro grido d’allarme. Così, davanti al Capo dello Stato, Giorgio Napolitano e al sottosegretario Gianni Letta, il presidente del Consiglio di sorveglianza di Intesa San Paolo fa un intervento che ruota intorno a due parole-chiave: «Gravissimo deterioramento». Dice cioè che il peggiorare del «merito di credito» dell’Italia – «icasticamente rappresentato» proprio dagli spread impazziti – è anche colpa «della perdurante incertezza della situazione politica interna». Le scelte per ripristinare la fiducia «comportano sacrifici e perdite di rendite di posizione, esigono disponibilità al cambiamento». Se non si fanno, il paese rischia «di compromettere il proprio futuro di sviluppo nella libertà e nella democrazia».
Bazoli è un signore che per ruolo e per stile è abituato ad essere sempre molto misurato. Stavolta ci tiene a rimarcare tutti i guasti che derivano dalla crisi che è «crisi di fiducia», beninteso: nella sostenibilità dei conti pubblici come nella tenuta del debito sovrano. E dunque, negli ultimi mesi i mercati hanno sottoposto le banche «a pressioni e penalizzazioni pesantissime». I sobbalzi degli spread (differenziali di rendimento tra i titoli italiani e i Bund tedeschi) soffocano gli istituti. Il loro costante allargamento, fino ai record di questi giorni, «si ripercuote sui costi della raccolta bancaria». Il loro livello «insieme alla necessità di mantenere adeguate riserve di liquidità » non è sostenibile. Sotto questo profilo genera «ulteriore preoccupazione» la richiesta Ue per aumentare la patrimonializzazione degli istituti. Napolitano ascolta in silenzio. E Bazoli: «A questo punto non possiamo più tacere che la posta in gioco è molto elevata. Se l’Italia continuasse a incontrare difficoltà e quindi a sopportare costi insostenibili nel collocamento del proprio debito, un restringimento del credito all’economia diventerebbe ineluttabile, con conseguenze sulla crescita e l’occupazione».
Alle banche non va giù che, in questo contesto così delicato, devono pure adeguare ancora i propri coefficienti patrimoniali: altri 14,7 miliardi, il doppio delle consorelle francesi, il triplo delle tedesche. Ebbene, qualora gli istituti non riuscissero a raccogliere i fondi sul mercato, l’unica prospettiva per Bazoli sarebbe un intervento dello Stato. «Il ritorno ad un sistema bancario pubblico ci riporterebbe indietro di trent’anni». Si potrebbe anche aprire la strada a grandi gruppi stranieri.
Bazoli, ma non solo. Al convegno organizzato dall’Abi per presentare il volume “Le banche e l’Italia” tutto il sistema spera in un dialogo con l’Eba, l’autorità di controllo europea che porti, ad ‘ammorbidire’ i criteri per valutare il capitale. Il presidente dell’Acri Giuseppe Guzzetti si dice «arrabbiato per decisioni che penalizzano noi e fanno salvi gli interessi dei francesi». L’Ad di Unicredit, Federico Ghizzoni, nota come i bilanci delle banche italiane siano meno rischiosi. Il presidente dell’Abi Giuseppe Mussari chiude così: le preoccupazioni espresse sono «gravi e urgenti. Siamo certi che l’Italia saprà reagire. Diversamente i gravi scenari delineati non saranno scongiurabili».
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