Gli straricchi solo una minoranza ma tassarli frutterebbe 5 miliardi

by Sergio Segio | 28 Novembre 2011 7:02

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ROMA – Delle possibili riforme nel cantiere del governo Monti è la più elusiva. Anche se richiesta a gran voce dalle forze sociali, Confindustria compresa, l’ipotesi di un imposta patrimoniale è al centro di un durissimo scontro fra i partiti della maggioranza, dove il Pdl ha più volte annunciato il proprio veto ad un intervento diretto sulla ricchezza degli italiani. In Parlamento, il presidente del Consiglio è stato attento ad indicare solo l’opportunità  di un monitoraggio della ricchezza (e ha voluto ribadire la parola “monitoraggio”), che potrebbe anche voler dire soltanto l’utilizzo di parametri di ricchezza nello stabilire la congruità  dei redditi dichiarati. Il terreno, in altre parole, va ancora esplorato.
Sul terreno della patrimoniale ci sono degli ostacoli tecnici. Al di là  delle difficoltà  di accertamento, sui patrimoni si è già  intervenuti o si sta per intervenire. Per gli immobili, tornerà  certamente in vigore l’Ici sulla prima casa. Per quanto riguarda i patrimoni finanziari, negli ultimi mesi è stata pesantemente rincarata l’imposta di bollo. L’ottica in cui si discute della patrimoniale, tuttavia, non è quella di colpire, in generale, la ricchezza, ma i ricchi e, in particolare, gli straricchi. Da questo punto di vista, una patrimoniale non universale, ma limitata a “chi ha di più” (un termine usato dallo stesso Monti) consentirebbe di sciogliere una vistosa contraddizione italiana. L’Italia è, infatti, un paese con redditi stagnanti, ma doviziosamente ricco: il 5,7 per cento della ricchezza netta posseduta nel mondo è in Italia, nonostante che gli italiani non siano più dell’un per cento della popolazione globale e il Prodotto interno lordo della penisola sia pari al 3 per cento del Pil mondiale. Una spiegazione corrente è la diffusione della proprietà  immobiliare: l’80 per cento degli italiani vive in una casa di cui è proprietario. Ma è solo in parte vero. Secondo le stime della Banca d’Italia, la ricchezza netta degli italiani è pari a 8.283 miliardi di euro, di cui poco più della metà  – 4.667 miliardi – è costituita da abitazioni, mentre le attività  finanziarie (titoli, azioni, depositi) erano pari, nel 2008, a 3.374 miliardi di euro.
A spiegare la differenza fra reddito e ricchezza è, piuttosto, l’evasione fiscale, che esaspera l’ineguaglianza crescente della società  italiana. Nelle due figure in pagina, si vede come la piramide dei redditi (dichiarati) sia svelta, sottile, quasi egualitaria. Mentre il grafico della ricchezza (stimata dalla Banca d’Italia) appare pesantemente squilibrato, più un paralume che una piramide: quasi il 45 per cento della ricchezza nazionale, equivalente a 3.700 miliardi è nelle mani di 2,4 milioni di famiglie, il 10 per cento più ricco. Se, come è stato ipotizzato, la patrimoniale si dovesse, tuttavia, applicare solo ai patrimoni superiori a 1,5 milioni di euro, il grosso dei ricchi italiani ne sarebbe fuori.
Ma anche una patrimoniale per i soli straricchi darebbe un gettito cospicuo. Il 13 per cento della ricchezza italiana (sempre secondo Via Nazionale) è nelle mani di 240 mila famiglie italiane, l’1 per cento del totale. Si tratta di 1.076 miliardi di euro. Una patrimoniale alla francese, con un’aliquota allo 0,5 per cento della ricchezza, darebbe un gettito di oltre 5 miliardi di euro l’anno. Per ognuna delle 240 mila famiglie significherebbe pagare, su un patrimonio che è in media di quasi 4,5 milioni di euro a famiglia, 22.500 euro l’anno.

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