Gas nervini a Piazza Tahrir

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IL CAIRO. Quattro ragazzi gridano a squarciagola per farsi strada in mezzo alla folla di via Mohammed Mahmoud, la strada che porta da Tahrir a ridosso del ministero degli interni. Trasportano a braccia un ragazzino appena raccolto dalle prime linee rese invisibili da una nebbia di gas asfissianti. Ha gli occhi sbarrati. Le punte delle mani e dei piedi sono percorse da spasmi. Un rivolo di bava gli esce dalla bocca. Un amico corre dietro ai portantini improvvisati chiamando ripetutamente la vittima, come per farlo risvegliare da quello che ha tutta l’apparenza di un attacco epilettico.
Convulsioni, spasmi, forti mal di testa. Questi sono i sintomi comuni a molti manifestanti di questi cinque giorni di guerriglia urbana nel centro del Cairo. Era da giorni che voci insistenti collegavano questi effetti all’uso di famigerati agenti nervini come il Tabun, il Soman o il Sarin. Ieri il candidato alle presidenziali, ex direttore dell’Agenzia Internazionale dell’energia atomica (Aiea), e premio nobel per la pace Mohammed El-Baradei, ha fornito la prima conferma ad alto livello di questi sospetti. In un breve messaggio spedito su Twitter nella mattinata, El-Baradei ha dichiarato: «È in corso un massacro. Gas lacrimogeni con agenti nervini sono stati utilizzati contro i civili». La tesi sostenuta da El Baradei è stata poi confermata da due analisi condotte ieri da personale medico su candelotti di gas rinvenuti a Tahrir Square. Sono state rilevate tracce significative di bromuro di cianogeno e altri agenti chimici che aggrediscono il sistema nervoso.
Se per supportare l’accusa dell’uso di gas nervini serviranno indagini indipendenti – come quella promessa ieri dall’Alto commissario Onu per i diritti umani Navi Pillay – quello che è certo è che le forze di sicurezza hanno usato gas chimici ad alta pericolosità  come il Cr e il Cn, ma anche candelotti di gas Cs, quello usato da molte polizie europee, ampiamente scaduti e quindi con possibili effetti cancerogeni. Dettagli inquietanti, visto che la nuvola di gas – sparati senza sosta da oltre cento ore attorno a Tahrir e nelle vie limitrofe – ha pervaso l’aria dei quartieri circostanti, Downtown, Garden City e Islamic Cairo, dove a partire da martedì sera molti passanti e negozianti portavano maschere antigas.
Le denunce sull’uso di gas pericolosi giungono al culmine di una giornata di scontri sanguinosi interrotti da una tregua durata poco più di un’ora. Alle 3 e 15 ora egiziana, attraverso la mediazione di un imam di Al Azhar, la più importante istituzione del mondo sunnita, polizia e manifestanti si erano accordati su una cessazione delle ostilità . Ma già  verso le 4 la polizia ha iniziato un fitto lancio di gas lacrimogeni che, sospinti dal vento, hanno invaso Tahrir, scatenando il panico tra le decine di migliaia di persone che anche ieri sono andate a dare sostegno a quelli che in piazza ormai tutti chiamano gli «eroi di via Mahmoud». La violenza della giornata ha causato almeno otto morti al Cairo, Alessandria e Mansura, portando il totale oltre quota quaranta in base a dati forniti dal ministero della Salute, che ieri ha ammesso per la prima volta la presenza di ferite da armi da fuoco. Secondo un giornalista egiziano che ieri ha visitato l’obitorio di Zeinhom al Cairo, le vittime sarebbero addirittura 90, un terzo delle quali uccise ieri.
A due giorni di distanza da venerdì, quando è prevista una nuova «marcia del milione», il regime militare appare sull’orlo della disperazione:disposto ad avvelenare la popolazione civile con agenti chimici vietati dalle convenzioni internazionali. E a sguinzagliare i cosidetti «baltageya», criminali comuni già  utilizzati da Mubarak a inizio anno, e ricomparsi ieri su Talaat Harb vicino a Tahrir. Di fronte all’escalation della violenza, gli attivisti si preparano a un lungo scontro con la giunta militare del feldmaresciallo Tantawi. «Per abbatterli servirà  più tempo di quello che è servito con Mubarak», ammette Hamad, un attivista 21enne che fuma insieme a due amici. «Ma toccherà  anche a loro. Com’è toccato a Ben Ali, a Gheddafi e a Abdullah Saleh».


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