by Sergio Segio | 6 Novembre 2011 8:37
Ci eravamo illusi. La mala politica che controlla le istituzioni si è ripresa dal colpo ed ha messo in atto il più vergognoso diversivo di massa. CONTINUA|PAGINA5 Passi per il presidente del Consiglio che per sfuggire alle proprie responsabilità si è chiesto retoricamente se non si era costruito in luoghi inadatti. Se esistesse un limite alla decenza, verrebbe travolto da quattro facili argomentazioni. Si è affermato nel lontano 1994 con la parola d’ordine «padroni a casa nostra», cioè basta con le regole. Nel 1994 ha approvato il secondo condono edilizio permettendo di legittimare edifici che in un paese civile dovevano essere demoliti perché mettevano a repentaglio la sicurezza di tutti. Nel 2003 ha approvato un nuovo condono edilizio. In questi ultimi tempi vorrebbe cambiare un articolo del dettato Costituzionale, riducendolo alla formula che «tutto ciò che non è espressamente vietato è consentito». Sempre più padroni a casa propria, mentre il paese frana.
Ma fin qui siamo ad un bersaglio facile. Per combattere questa devastante involuzione ci vorrebbe una classe dirigente e un’opposizione dotate di una cultura alternativa. Siamo infatti, come afferma Salvatore Settis, un paese immobile proprio perché dominato dal cemento armato bipartisan. Bastava leggere i titoli dei maggiori quotidiani di ieri. Tsunami, apocalisse e così via. Nelle pagine interne si leggeva invece che per mettere in sicurezza il Fereggiano, il torrente che ha causato la tragedia, si parlava di costruire uno scolmatore almeno dal 1960. Dopo cinquant’anni di inerzia, con quei titoli si cancella qualsiasi responsabilità .
L’assessore all’ambiente della regione Liguria ha invece affermato che occorre fare un salto di qualità nella prevenzione e «dati i cambiamenti climatici» verranno distribuiti depliant che educhino i cittadini. Consigliamo all’assessore di leggere i due recenti, documentatissimi volumi dedicati allo scempio che è stato perpetrato dall’urbanistica contrattata ai danni del territorio ligure. Con la carta del suo depliant non si fermano il cemento e l’asfalto che hanno sfigurato la regione.
Di fronte al fallimento della monocultura del cemento, è tempo di dare respiro ad una proposta alternativa, la sola in grado di fermare la dissoluzione del territorio. Basta con il consumo di suolo. Basta con la cementificazione delle aree agricole. Non si tratta di fermare le imprese edilizie. Al contrario, si tratta di indirizzarle verso una straordinaria opera di miglioramento e di messa in sicurezza del troppo che è stato costruito. Soltanto da noi si possono rendere edificabili senza sforzo i terreni agricoli: i proprietari guadagnano milioni di euro e la collettività paga il conto umano e quello economico.
Ed è proprio la questione dei cambiamenti climatici in atto a rendere improcrastinabile il provvedimento di blocco della speculazione. Perchè se è vero che la crisi economica non permette più di tutelare neppure il territorio già urbanizzato, occorre essere coerenti: non si deve rendere impermeabile un solo metro quadrato di territorio in più di quello che non riusciamo a mettere in sicurezza. E facile, basta una legge breve. Un solo articolo per liberare l’Italia dalla spirale della devastazione.
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