Forte con i deboli, debole con i forti. I guasti che restano

by Sergio Segio | 8 Novembre 2011 8:43

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Certo, la pendenza di numerosi processi penali a carico del presidente del Consiglio è un macigno che nessun sistema politico tollererebbe in modo indolore. Ma quel che è accaduto in Italia sta scardinando le basi stesse dello Stato di diritto. L’approvazione di oltre trenta leggi ad personam (con cui si sono perseguite assoluzioni tout court, spostamenti e sospensione di processi, prescrizione di reati, proroga di magistrati graditi e veti per magistrati sgraditi e via seguitando) non ha solo – cosa che pur basterebbe! – favorito il presidente del Consiglio. Essa ha anche snaturato e corrotto la stessa funzione legislativa, perché la legge o è generale e astratta o altro non è che comando politico.
Ma non c’è solo l’interesse personale. C’è, al suo fianco, quella che un tempo si sarebbe chiamata una logica di classe. La torsione della legge è stata perseguita dal presidente del Consiglio non solo per sé ma anche per il suo blocco sociale di riferimento. Così si è assistito al dilatarsi della forbice tra il codice “dei galantuomini” (cioè dei colletti bianchi) e quello “dei briganti” (i recidivi o, più semplicemente, i poveri tout court, i migranti, i tossicodipendenti) con l’emergere di un diritto penale virtuale (che occupa gran parte del codice ma si limita, in concreto, a misurare l’attesa che la prescrizione si sostituisca al giudice) e quello reale (che si riassume in pochi articoli ma segna la vita e i corpi delle persone e riempie il carcere come mai nella storia della Repubblica). Più in generale si è assistito alla realizzazione, anche fuori dal sistema penale, di una giustizia a due velocità , debole con i forti e forte con i deboli.
Di più. Per conseguire senza intoppi il risultato voluto si è realizzato anche un intervento diretto sulla magistratura per sottrarle il controllo di legalità  a tutto campo voluto dalla Costituzione, facendola rientrare nella logica delle compatibilità . Si collocano in quest’ottica la delegittimazione del sistema giustizia, presentato come un campo di battaglia in cui i giudici agiscono come soggetti politici anziché come controllori imparziali; l’intervento politico diretto sulla giurisdizione e sui processi (la pretesa della maggioranza di dettare la giusta interpretazione della legge, la rimozione del giudice da parte del guardasigilli al fine di impedire la prosecuzione di un processo, la minaccia di perseguire disciplinarmente l’interpretazione sgradita, la contestazione di decisioni non condivise con interpellanze parlamentari). E ancora, l’abbandono di ogni prospettiva organica di intervento sul servizio giustizia e il perseguimento del disastro organizzativo; la modifica dell’ordinamento giudiziario per ripristinare una magistratura gerarchica, piramidale, controllata (dall’esterno e dall’interno).
Si tratta di elementi che hanno modificato il rapporto del sistema giustizia con il Paese e determinato anche nella magistratura fenomeni diffusi di autonormalizzazione e conformismo (anche se occultati dai processi sotto i riflettori). Il berlusconismo passerà  (forse sta passando), ma lascia guasti profondi. Guai a pensare che siano destinati a rientrare in modo automatico.

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