Flussi tra Sud e Nord, differenze e ripetizioni

by Sergio Segio | 15 Novembre 2011 8:12

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L’ultimo numero della rivista Sociologia del lavoro, dedicato al tema delle migrazioni interne e al loro rapporto con le trasformazioni del mercato del lavoro, si colloca nella migliore tradizione della sociologia italiana intesa come inchiesta sociale; in grado cioè di far emergere dall’opacità  fenomeni sotterranei e pure determinanti per la comprensione della società  italiana.
La lettura dei numerosi saggi che compongono il numero, molto diversi tra di loro sia per l’impianto metodologico utilizzato sia per le stesse conclusioni cui giungono, contribuisce immediatamente a sfatare due luoghi comuni che, come un mantra, sono continuamente ripetuti da media e politici poco informati: quello relativo al presunto immobilismo del mercato del lavoro italiano e la rappresentazione del nostro paese esclusivamente come meta di immigrazione. In linea con quanto mostrato, ormai da un ventennio, tanto dai dati Istat quanto dai rapporti dello Svimez, l’Italia continua ad essere percorsa da un imponente flusso di migrazione interna – frammentaria, poco visibile e portata avanti alla spicciolata – che dalle regioni del Meridione ha condotto, a partire dagli anni Novanta, quasi un milione di persone a gravitare, in varie forme, sul mercato del lavoro del nord. Ne deriva, che il nostro non è solo un paese di destinazione di flussi migratori internazionali ma continua ad essere una società  dove l’emigrazione è un’esperienza diffusa, sia quando si rivolge verso altre zone del paese sia se consideriamo l’alto numero di giovani italiani che risiedono all’estero, non tutti riconducibili alla categoria dei «cervelli in fuga».
Filo rosso che unisce le avventure e le disavventure dello sviluppo italiano degli anni Cinquanta e Sessanta con la stagnazione degli anni recenti, i movimenti migratori interni dal sud al nord del paese, rivelano elementi di continuità  e discontinuità , strettamente legati all’affermarsi di una società  profondamente precarizzata e complessa: come negli anni del boom economico, sono le mansioni meno qualificate, nell’industria, a costituire il grosso della domanda di lavoro, pur essendo sempre più significativa la presenza di giovani laureati che, formatisi nell’università  del nord, decidono di non fare ritorno nelle proprie regioni d’origine, così come delle donne, con titoli di studio elevato, che scelgono autonomamente di trasferirsi in luoghi che offrono maggiori opportunità  di vita e carriera.
Accanto a questo effetto emergente di desertificazione del Mezzogiorno, gli elementi che più colpiscono sono però quelli relativi al rafforzamento della segmentazione e della segregazione del mercato del lavoro settentrionale: come i migranti stranieri, gli immigrati del sud non si pongono in una posizione concorrenziale rispetto ai residenti. Piuttosto, costituiscono una offerta di lavoro addizionale che sostiene l’industrializzazione del nord-est e del centro-nord, in particolare, collocandosi in posizioni lavorative poco redditizie e appetibili, cui ci si va a collocare anche attraverso il fenomeno del pendolarismo settimanale.
Questo fenomeno, che investe in particolare i giovani campani, determina l’estendersi dell’esperienza del precariato esistenziale oltre che lavorativo, secondo contorni in parte inediti: i lavoratori del sud devono sostenere costi di riproduzione della propria forza lavoro, dunque di sussistenza e abitazione, molto maggiori dei residenti locali. In un quadro in cui la scelta di emigrare si lega alla ricerca di stili e opportunità  di vita nuovi e migliori, spesso le famiglie del sud sostengono economicamente i propri figli stabilitisi al nord. In una netta inversione di quel flusso delle rimesse che aveva caratterizzato l’epopea dell’emigrazione italiana nel Novecento.
Insomma, lo studio dei flussi interni di mobilità  investe oggi, come e forse più di ieri, uno dei temi portanti della nostra democrazia in tempi di crisi: la questione della cittadinanza che diventa fragile e precaria quando il differenziale di sviluppo tra le diverse aree del paese, nel silenzio assordante della politica, si fa drammatico, come è accaduto in questi ultimi anni.

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