by Sergio Segio | 26 Novembre 2011 8:00
Il 9 marzo 2001, il sindaco di Bogotà¡, Antanas Mockus, inaugurava una singolare soluzione al dominio maschile tradizionale in Colombia: dalle 19,30 all’una del mattino, solo le donne erano autorizzate a circolare. Attento all’equità , la settimana dopo Mockus consegnava la città ai soli festeggiamenti maschili, nelle stesse condizioni. Le donne da una parte, gli uomini dall’altra? Da alcuni anni, i progressi nell’eguaglianza tra uomini e donne in America latina seguono altre strade, in particolare nel campo politico.
In questi ultimi anni, quattro donne hanno occupato la più alta carica su questo continente. Nell’ottobre 2011, Cristina Fernà¡ndez Kirchner diventa la prima donna rieletta a capo di uno Stato latinoamericano, in Argentina, con il 54% dei voti al primo turno. All’inizio del 2006, Michelle Bachelet, un’ex rifugiata politica che ha tirato su da sola i suoi tre figli, succede al socialista Ricardo Lagos, in un Cile dove il divorzio è stato appena istituito. Nell’ottobre 2010, in Brasile, è la volta di un’altra divorziata, Dilma Rousseff, nota per la sua partecipazione alla guerriglia di sinistra durante la dittatura degli anni ’60 e ’70. Alcuni mesi prima, il Costa Rica scopriva che la sua tradizionale cultura maschilista non aveva impedito l’elezione di Laura Chinchilla (centro-sinistra).
Questa evoluzione delle menti è stata a volte accompagnata dall’introduzione di sistemi di discriminazione positiva. L’Argentina è stata pioniera, nel 1991, con la sua legge di quote che imponeva ai partiti almeno 30% di candidature al femminile. Con il 38% di donne al Parlamento, figura oggi tra i dodici primi paesi quanto a partecipazione femminile al potere legislativo. Da allora, undici nazioni della regione ne hanno seguito le orme. La parità promossa da Bachelet non le è però sopravvissuta. La metà dei ministeri del suo primo governo erano occupati da donne; in quello del suo successore di destra, Sebastian Pià±era, sono solo il 18%.
La buona volontà del potere esecutivo non basta. Al suo arrivo al palazzo presidenziale del Planalto, a Brasilia, Rousseff ha annunciato la volontà di promuovere le donne – una scelta schernita dalla stampa, che ha qualificato il suo governo di «Repubblica sui tacchi alti». È riuscita a piazzarle solo nel 24% dei ministeri e 21% dei posti detti di «secondo livello». In Venezuela, le donne sono state le più attive nei meccanismi di governo partecipativo istituito dal presidente Hugo Chà¡vez nell’ultimo decennio, tre sono a capo dei massimi organismi di potere.
Secondo Maràa Florez-Estrada Pimentel sociologa all’Università del Costa Rica, le donne al potere: «Sconvolgono l’ordine sociale tradizionale, ma ciò non significa che assumano un atteggiamento progressista. In America centrale, le presidenti sono state e restano molto conservatrici, sulle questioni economiche e anche sociali – incluse quelle che riguardano direttamente le donne, come il diritto all’aborto». Salvo Cuba, dove l’interruzione volontaria di gravidanza (Ivg) è autorizzata, e città del Messico, dove i deputati dell’Assemblea locale l’hanno votata, questa questione resta tabù nella regione. Nell’ottobre 2010, messa alle strette prima del secondo turno, Rousseff ha firmato una lettera nella quale s’impegnava a non presentare al Congresso un progetto di legge sulla legalizzazione dell’Ivg. Eppure, gli aborti clandestini, stimati a 800.000 l’anno in Brasile hanno conseguenze drammatiche: quasi 250.000 donne soffrono d’infezione o di perforazione dell’utero, e il tasso di mortalità è di 65 donne per 100.000 donne incinte: una questione di sanità pubblica.
L’unico paese della regione ad avere fatto marcia indietro è il Nicaragua. Nel 2006, la gerarchia cattolica, con una prova di forza, ha concluso un accordo con Daniel Ortega, allora alla ricerca di sostegni per riconquistare il potere. Il sandinista ha fatto cambiare la legislazione che permetteva alle vittime di stupro di abortire. In Venezuela, dove sono allo lo studio di diversi progetti di legge, c’è dibattito. In Uruguay, la legalizzazione sarà probabilmente votata. Le trattative proseguono, come in Ecuador, Bolivia e Argentina. Ogni anno si praticano 500.000 aborti clandestini .
La grande preoccupazione delle donne latinoamericane resta tuttavia la violenza. «I femminicidi, cioè l’uccisione di donne perché sono donne, sono in piena esplosione in America centrale e in Messico», dice Maràa Florez-Estrada Pimentel. El Salvador ne detiene il record, con un tasso di 13,9 donne assassinate per 100.000 abitanti. In Guatemala, la percentuale è di 9,8. Negli stati messicani di Chihuahua (nel quale si trova la città di Ciudad Juarez, nota per le uccisioni di donne), Bassa California e Guerrero, è triplicata dal 2005 al 2009, per raggiungere 11,1 per 100.000 abitanti. La normalizzazione della violenza la banalizza anche all’interno delle coppie. «La guerra contro la droga e il crimine organizzato ha conseguenze sulle donne: lo stupro crea una coesione nei gruppi armati, riafferma la loro mascolinità e agisce come sfida di fronte al nemico», afferma Patsilà Toledo, giurista all’Università del Cile.
I baroni della droga diversificano le fonti di reddito sviluppando reti di prostituzione e di tratta delle donne. Secondo l’Organizzazione internazionale delle migrazioni, quest’ultima rappresenterebbe 16 miliardi di dollari ogni anno in America latina, il che porta al rapimento di migliaia di donne e di ragazzine.
Per Maria Luiza Heilborn, il femminismo, si trova però «ormai in tutti gli strati della società ». Secondo la Banca mondiale, dal 1980, la mano d’opera latinoamericana ha incorporato più di 70 milioni di donne, passando da un tasso di partecipazione del 35% mediamente al 53% nel 2007, fondamentalmente nel settore dei servizi. «Le violenti crisi economiche degli anni ’90 hanno dimostrato la capacità delle donne a sbrogliarsela, spesso meglio degli uomini. Vi hanno guadagnato in fiducia e in legittimità », ricorda Mario Pecheny.
Attive sul mercato dell’impiego, ma facendosi sempre carico della maggioranza dei compiti non remunerati, le donne rimettono in causa la cultura maschilista, ma faticano a conciliare tutto. In Brasile, optano per un figlio, due, talvolta nessuno. Si osserva lo stesso fenomeno in Uruguay, Costa Rica, Cile e a Cuba. «Le donne, più autonome, vogliono studiare, consumare e viaggiare. Non vogliono più continuare a farsi carico degli altri- rileva Maràa Florez-Estrada Pimentel -. Ciò pone al capitalismo un problema sociale importante: la divisione sessuale del lavoro è cambiata, ma né gli Stati né le imprese investono abbastanza per creare un’infrastruttura sociale adatta a questa nuova realtà .»
* L’intero articolo di cui proponiamo una sintesi, sarà pubblicato nel prossimo numero del Diplo, in edicola a partire dal 15 dicembre.©Le Monde diplomatique/ilmanifesto.
Trad. Graziana Panaccione
Source URL: https://www.dirittiglobali.it/2011/11/femminicidio-stupro-di-un-intero-continente/
Copyright ©2024 Diritti Globali unless otherwise noted.