Farmaci salvavita la sfida finale di Obama a Big Pharma

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NEW YORK. L’uomo che vide morire sua madre di cancro lottando per l’assistenza sanitaria non vuole lasciare morire l’America per l’ingordigia di Big Pharma. Barack Obama ci riprova. Paralizzato dalla destra che non gli lascia passare una riforma – e punzecchiato dalla sinistra che lo accusa di troppi compromessi – il presidente alza la voce e decide a modo suo: incominciando a impartire ordini. Proprio così: un ordine esecutivo per ovviare alla vergogna della mancanza di farmaci salvavita che sta piegando la prima potenza mondiale come nemmeno un Paese in via di sviluppo.
Chiedetelo a Jay Cuetara di San Francisco. Il poveraccio ha dovuto rimandare la chemio perché in ospedale avevano finito il farmaco: «Com’è possibile che succeda negli Stati Uniti?». Il suo presidente un sospetto ce l’ha. E lo mette nero su bianco sull’ordine con cui chiede alla Food and Drugs Administration di darsi una mossa: «Nel mercato qualcuno potrebbe utilizzare questa carenza come un’opportunità  per accumulare le medicine che scarseggiano o metterle in vendita a prezzi esorbitanti».
L’accusa è dettagliata. Al punto da chiedere all’ente sanitario di riportare al ministero della giustizia ogni ipotesi di abuso. Che ormai non è più un’ipotesi. Nelle carte della Fda si legge di un farmaco antileucemia da 12 dollari al flacone finito in vendita a 990 dollari: 80 volte tanto. Sono numeri che si definirebbero da capogiro se non facessero girare soltanto la testa: la gente muore per davvero. Il caso più tristemente conosciuto è quello dell’Alabama. Nove vittime e più di dieci contaminati da un batterio: colpa di una soluzione chimica “fatta ad hoc” utilizzata al posto di una medicina introvabile.
La scarsità  non ha ovviamente – e ci mancherebbe – solo un’origine criminale. Il presidente riconosce «l’aumento della domanda che eccede la capacità  di produzione». Un deficit da supplire muovendosi dunque in tre direzioni. La prima: ampliare i rapporti sulla produzione in modo da avere segnali d’allarme con un anticipo di almeno sei mesi. La seconda: accelerare i tempi per l’autorizzazione di nuovi medicinali. Ma è nella terza area d’intervento che il presidente mostra davvero i muscoli: invitando il governo all’indagine sui prezzi. E’ nella zona d’ombra tra produzione e distribuzione che bisogna fare luce. «La scarsità  dei medicinali pone una seria e crescente minaccia alla salute pubblica», dice: sottolineando che le emergenze sono triplicate dal 2005 al 2010.
Lo scherzetto dell’industria – produzione e distribuzione – sembra anche una crudele vendetta. Barack Obama è l’uomo della più importante riforma sanitaria approvata negli Usa: quella che col tempo consentirà  a 40 milioni di americani finora senza assicurazione di potere essere trattati come essere umani. Peccato che intanto i colossi della sanità  abbiano aumentato i costi delle polizze: giusto per portarsi avanti per quando non potranno più fare la cresta. Facendo già  pesare sui cittadini i costi di quella riforma che infatti il 51 per cento degli americani vorrebbe abolire.
Che triste ironia. Proprio un malato eccellente negli ultimi mesi aveva messo in guardia Barack: non riesci a pubblicizzare le cose buone che hai fatto. Era Steve Jobs. Che pur non risparmiando il presidente di critiche si era poi offerto di disegnarli comunque un nuovo logo. Ma tanta generosità  è sconosciuta a Washington in tempo di elezioni. Prendete sempre la vergogna della scarsità  di medicinali: è sotto gli occhi di tutti. E infatti al Congresso giace una proposta di legge che sviluppa le linee guida dell’ordine di Barack. Inizialmente aveva avuto un sostegno bipartisan. Inizialmente: perché ora non si deve muovere foglia che possa ricondursi al vento di Obama.
Così il presidente ha deciso di uscire dall’angolo: con questo e altri ordini esecutivi. Una prova di forza rilanciata con lo slogan “We can’t wait”. Non possiamo più aspettare. L’ha fatto nei giorni scorsi con un ordine esecutivo che permette di rifinanziare i mutui strozzarisparmi a tassi più bassi. E poi con un ordine esecutivo che abbassa i tassi dei prestiti scolastici.
Piccoli passi. Mentre al Congresso giace il suo piano da mezzo miliardo per il rilancio dell’occupazione. Ma una svolta che s’è meritata l’applauso perfino di un ex consigliere di Ronald Reagan oggi a capo del Center for the Study of the Presidency «L’uso di questi ordini esecutivi mette in luce un presidente forte e vigoroso» spiega David Abshire a Usa Today. Peccato solo che tutta questa forza la stia mettendo fuori soltanto a un anno dalla rielezione. Nei primi tre forse ha un po’ scarseggiato: come le medicine che adesso Barack vuol far ricomparire con un ordine.


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