Evitare le urne ma senza «ribaltoni» E si affaccia l’ipotesi di Gianni Letta
ROMA — D’ora in avanti la maggioranza e l’opposizione hanno «la libertà » di fare le proprie scelte in Parlamento e su entrambi i fronti ricade «la responsabilità » delle conseguenze che quelle scelte avranno rispetto agli «interessi generali» dell’Italia e dell’Europa. È in questo passaggio finale della dichiarazione con cui ieri ha chiuso il giro di colloqui informali, che Napolitano fa piazza pulita di tante speculazioni e letture interessate, e lancia l’ultimo avvertimento alle forze politiche.
La partita è adesso nelle loro mani. Interamente. Senza mediazioni da parte del Quirinale, che non forzerà nulla e non offrirà sconti a nessuno. E non si farà promotore di nient’altro che non sia l’urgenza di rassicurare i partner della Ue e il mondo economico e finanziario internazionale — una garanzia girata pure ai protagonisti del G20 riunito a Cannes —, spiegando che da noi tutti o quasi «riconoscono come impegnativi gli obiettivi» del risanamento e del rilancio e hanno «ben chiara la portata dei problemi da affrontare con urgenza».
Certo, «permane il contrasto» tra i due schieramenti e l’impasse è destinata a risolversi presto, in un senso o nell’altro, davanti alle Camere. Ma lui, il capo dello Stato, più che esortare a «una larga condivisione delle scelte», a questo punto non può e non vuole permettersi. L’animus positivo che di continuo auspica («teniamoci sempre care la coesione sociale e le nostre istituzioni per far fronte a prove e sfide nuove e difficili», ha ripetuto ieri) è un sentimento politicamente impraticabile. Anche se invocato per carità di patria.
Insomma: margini di composizione e di scelte bipartisan sono irrealistici, dopo che il Terzo Polo e il Partito democratico hanno escluso di votare i provvedimenti di Palazzo Chigi, «visto che il problema è ormai la credibilità dell’esecutivo».
E se da parte loro si insiste per un atto di «discontinuità » che può venire solo da un passo indietro del premier e si subordina ad esso la disponibilità a sostenere un governo diverso e «su basi parlamentari più ampie», sul fronte di Pdl e Lega si ostentano le certezze di sempre: abbiamo le forze per andare avanti fino al 2013, a Berlusconi non ci sono alternative se non le urne e non accetteremo soluzioni diverse. Una sicurezza che, oggi come oggi, può apparire temeraria o quasi un esorcismo, considerata l’incognita dei dissidenti nel Pdl: qualcuno calcola che le potenziali defezioni siano già 18, tra parlamentari usciti allo scoperto e nascosti, ciò che farebbe sfumare la fatidica quota dei 316 voti indispensabili al governo per sopravvivere.
Questo è il quadro che Napolitano ha messo a verbale nel suo giro d’orizzonte. La fotografia di una situazione che dovrebbe evolversi rapidamente attraverso un paio di passaggi in aula. E il Quirinale tutto si augura meno che il rendiconto generale dello Stato o le misure finanziarie passino con approvazioni risicate. Anche se sa che è proprio lì, in quell’impervio percorso, che potrebbe essere certificata, magari attraverso la mozione di sfiducia minacciata dalle opposizioni, la crisi dell’esecutivo.
Nell’eventualità che ciò accada, di sicuro ci sono solo un paio di cose, per il momento. La prima: il capo dello Stato esplorerà ogni strada per evitare elezioni anticipate perché ciò equivarrebbe ad una paralisi di tre-quattro mesi, una prospettiva da lui giudicata insopportabile per la tenuta della nostra economia sotto attacco. La seconda: vanno considerati molto improbabili, perché troppo avventuristi, pure gli scenari di un ribaltone, vale a dire le chances che il Colle tenga a battesimo un governo fondato su una maggioranza diversa da quella di centrodestra che ha vinto le elezioni nel 2008.
Detto questo, resterebbe aperta la subordinata — per molti in realtà la ipotesi principale — di una chiamata in servizio di Mario Monti, per tentare la formazione di un gabinetto spiccatamente tecnico (e, per inciso, questo Quirinale non ama granché i governi tecnici). Ora, Monti è una personalità di alto profilo europeo e che Napolitano stima molto. Ma se dovesse resistere il diniego del centrodestra a qualsiasi alternativa a Berlusconi, sembra difficile pensare che il capo dello Stato possa affidargli un incarico al buio, perché si cerchi comunque una maggioranza in Parlamento (come fu per Ciampi, nel 1993). Sarebbe come mandare allo sbaraglio una riserva della Repubblica che può tornare utile in futuro, significherebbe bruciarlo.
L’ultimo scenario è quello secondo il quale un Berlusconi dimesso potrebbe indicare a succedergli Gianni Letta o Alfano, confidando così di allargare la maggioranza con il recupero dell’Udc e di restare in qualche modo al comando per interposta persona. Ma per arrivare a questo bisogna che si apra una partita molto lontana da quello che è stato detto ieri sul Colle.
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