Erdogan: “Taglieremo l’elettricità alla Siria”
La comunità internazionale stringe il cappio attorno alla Siria. È la Turchia di Erdogan, ieri, a serrare la morsa con la minaccia di nuove sanzioni: «Interromperemo la fornitura di elettricità alla Siria, se la situazione non cambierà », avvisa Taner Yildiz, il ministro dell’Energia a Ankara. E intanto annuncia il congelamento dei progetti di esplorazione petrolifera. L’avvertimento più cupo, però, è del premier turco Erdogan. All’indirizzo dell’ex amico e presidente Bashar Al Assad, manda a dire: «Non si può costruire il futuro sul sangue degli oppressi». Poi rincara: «Assad non vede la tragica fine di chi ha dichiarato guerra al proprio popolo?».
Il monito della Turchia arriva sullo sfondo di uno stillicidio di almeno 3500 morti in otto mesi di rivolta, stando ai calcoli dell’Onu. Il regime di Damasco contesta le cifre, e denuncia oltre 1000 morti fra le forze dell’ordine. Stando all’Osservatorio siriano dei diritti civili, ieri almeno 70 persone sono state uccise in uno scontro fra militari e disertori a Deraa; un attacco contro dei mezzi dell’esercito avrebbe fatto 34 vittime fra soldati e poliziotti, e 12 fra i disertori. Altri 23 civili sarebbero stati colpiti in alcuni villaggi del Sud. In serata, dal regime viene un apparente gesto di “buona volontà “: la notizia della liberazione di 1180 detenuti, compreso un leader storico dell’opposizione, Kamal Labouani.
Quale sia il peso reale delle sanzioni è materia di valutazioni contrastanti: la quota di elettricità fornita da Ankara a Damasco non sarebbe tale da incidere in misura significativa sul funzionamento delle infrastrutture. A questo si aggiunge che la Turchia per ora non rinuncia agli scambi commerciali con il Paese confinante, del valore di oltre due miliardi di dollari.
Però, nella Siria già piagata dall’insufficienza dell’erogazione elettrica, dai black out quotidiani sopportati con fatalità soprattutto dagli strati meno abbienti della popolazione, la punizione ventilata da Ankara rischia di colpire i meno fortunati. E questo, visto dalla società civile di Damasco, moltiplica gli eterni interrogativi sull’efficacia delle sanzioni.
La mossa della Turchia arriva all’indomani della decisione a sorpresa della Lega Araba: l’espulsione della Siria da un’organizzazione che sembra voler risalire a piccoli passi dal margine dell’irrilevanza dov’era piombata da decenni. Esistono soltanto due precedenti: l’approvazione, 20 anni fa, di un intervento militare straniero contro l’Iraq di Saddam Hussein dopo l’invasione del Kuwait, e la richiesta al Consiglio di sicurezza, in marzo, d’imporre una “no fly zone” nei cieli sopra la Libia. Se si considera il rifiuto, ieri, da parte degli Stati del Golfo guidati dal Qatar, di accogliere la richiesta siriana di una riunione d’emergenza per contestare l’espulsione, e l’invito rivolto invece a parte dell’opposizione siriana – quella esterna, ospitata in Turchia – a intavolare un dialogo con la Lega per tracciare un piano di transizione, non sorprende che a Damasco il barometro della città preveda venti di guerra.
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