Egitto Fratellanza ai seggi

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IL CAIRO.  La prima giornata di una tornata elettorale che andrà  avanti per tre mesi attraversando di volta in volta diverse aree del paese, è stata una dimostrazione della forza organizzativa islamista «Non dovete aver paura, voi europei, il paese ha bisogno di regole morali forti contro la corruzione» IL CAIRO
Lunghe code ai seggi e una piazza Tahrir semivuota. Sono queste le due immagini che riassumono lo stato d’animo dell’Egitto nel giorno delle prime elezioni parlamentari dopo l’era Mubarak. L’odore acre dei gas lacrimogeni sparati all’impazzata dalla polizia nei giorni scorsi è stato appena lavato via dall’arrivo della pioggia. Ma il paese sembra già  intenzionato a sotterrare l’ascia della rivoluzione per appoggiare una lenta e tortuosa transizione verso un sistema liberaldemocratico in cui i partiti islamisti sono destinati a sostituire progressivamente i militari al potere.
Dopo i giorni della vigilia segnati da una nuova esplosione insurrezionale che ha visto più di 40 morti e migliaia di feriti, in molti pensavano che queste elezioni si sarebbero trasformate in una farsa o peggio in un bagno di sangue. Ma a dispetto di numerose irregolarità  – schede arrivate in ritardo o non correttamente timbrate e giudici preposti a controllare il voto rimasti a letto – a dominare è stata un’impressione di efficienza e elevata partecipazione popolare. Quando alle 8 di mattina si sono aperti i seggi, nella capitale, come ad Alessandria, Luxor si sono formate subito lunghe code, che sono ricomparse verso sera, fino alla chiusura, allungata di due ore fino alle 10.
Davanti alle scuole e agli altri edifici pubblici, adibiti alle operazioni di voto si respirava un sentimento di orgoglio patriottico per quella che in molti percepiscono come un grande passo avanti per l’Egitto rispetto alle elezioni manipolate dell’era Mubarak. «L’Egitto si meritava questo giorno» – afferma Mustafa Waziri, un impiegato di 52 anni in coda di fronte al seggio di El-Khalifa, un quartiere popolare all’ombra della Cittadella di Saladino. – Finalmente ci sentiamo liberi. Per lo meno possiamo scegliere i nostri politici. Adesso bisogna guardare avanti e risolvere i tanti problemi che abbiamo di fronte».
Parlando con la gente in coda ai seggi di quartieri di classe media come Garden City, Nasr City e Zamalek, come in quelli popolari quali Saiyida Zeinab, El-Khalifa e Moqattam, è evidente che queste elezioni vedranno una vittoria schiacciante per Hurreya ua Adala (Libertà  e Giustizia), il partito dei fratelli musulmani e un risultato positivo per i salafiti di Hizb al-Nour, che vogliono la sharia legge di stato. «Non dovete avere paura, voi europei» – rassicura Hisham, un sarto di 58 anni, con la lunga barba dei musulmani devoti, propenso a votare per il «partito della luce». «Questo paese ha bisogno di regole morali forti per combattere la corruzione».
La prima giornata di una tornata elettorale che andrà  avanti per tre mesi attraversando di volta in volta diverse aree del paese è stata una dimostrazione spettacolare della capacità  organizzativa della Fratellanza. Davanti ai seggi della capitale, un esercito di rappresentanti di lista di «Libertà  e Giustizia» distribuiva propaganda elettorale, vietata ad urne aperte, mentre gruppi di ragazzi armati di computer fornivano informazioni agli elettori confusi. «Siamo qui soltanto per aiutare la gente a votare correttamente» – si affretta a spiegare Mahmoud, un militante 38enne di Saiyida Zeinab, che fino ad un anno fa era una delle roccaforti del partito di Mubarak. «Il nostro partito – aggiunge – farà  dell’Egitto un paese migliore. Vogliamo continuare a essere un paese aperto e a puntare sul turismo. Si sbaglia chi ci accusa di fondamentalismo».
Di tutt’altro avviso i sostenitori dei partiti liberali e di sinistra tra cui l’imprenditore delle telecomunicazioni Nabuig Sawiris che ieri ha denunciato l’uso illegale di slogan religiosi nella campagna elettorale. Sawiris, già  proprietario di Wind, ha affermato che «l’Egitto non è l’Iran», suggerendo che l’alta affluenza è un buon segno per il suo partito, per la sua coalizione. Eppure ieri davanti ai seggi erano in pochi a dichiarare di voler votare per l’alleanza laica che si è proposta come diga contro gli islamisti. Tra questi, Amina, una studentessa di 20 anni in coda davanti al seggio femminile di Nasr City. «Sono contenta di essere venuta qui. È giusto protestare a piazza Tahrir, ma bisogna pure venire a votare per fare sentire la voce dei giovani».
«Oggi posso dire che il sangue dei 1.000 martiri morti nella rivoluzione, non è stato versato invano» – afferma Abdallah, un 21enne di Moqattam, quartiere periferico del Cairo, venuto di prima mattina con un gruppo di amici ad aiutare le operazioni di voto, disponendo gli elettori in file ordinate in base alla circoscrizione di appartenenza. «Dobbiamo essere contenti perché questo paese oggi sta facendo un importante passo avanti – dice -. Ora non è più tempo di rivoluzione. Le proteste degli ultimi giorni hanno spaventato molte persone».
Mentre migliaia di egiziani si affollavano davanti ai seggi, gli attivisti della gioventù rivoluzionaria hanno continuato il sit-in a Tahrir, epicentro negli ultimi giorni di grandi proteste contro il regime militare. Ma ieri in piazza l’atmosfera era mesta: poca gente e un senso di distacco verso un paese che sembra mettere il desiderio di sicurezza davanti all’obiettivo di completare il percorso rivoluzionario, liberandosi della giunta militare alla guida dell’Egitto dalla caduta di Mubarak. «Non sono contento che la gente sia andata a votare» – afferma infastidito Mohammed, 20 anni, zoppicando sulla gamba che porta i segni delle tre pallottole di gomma rimediate durante gli scontri in via Mohammed Mahmoud. «Si sono dimenticati del sangue dei martiri. E per cosa votano, poi? Tanto il potere continuano ad averlo i militari».


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