Effetto Spread, credito difficile fondi alle imprese col contagocce
Alcune piccole imprese hanno addirittura preso l’abitudine di telefonare direttamente a Giuseppe Tripoli, il Mister Pmi nominato dal governo su richiesta della Ue. E le storie sia che provengano dalle Marche, dalla Lombardia o dal Piemonte ricalcano lo stesso copione. In una fase precedente le banche, a fronte delle garanzie offerte dal sistema dei Confidi, hanno accordato il finanziamento all’impresa, poi al momento topico si sono rifiutate di erogarlo lasciando in braghe di tela l’artigiano o l’imprenditore. In qualche caso gli istituti di credito, invitati da Mister Pmi al ministero, hanno rivisto il loro atteggiamento e proceduto a concedere il prestito, in altri casi il no è stato confermato.
In provincia di Vicenza l’associazione industriali ha raccolto le preoccupazioni della base e proprio in questi giorni il vicepresidente Luciano Vescovi ha deciso un monitoraggio sul credito che coinvolgerà un campione di 300 aziende di varie dimensioni. La sensazione è che la fotografia che si ricaverà a fine sondaggio sarà quantomeno a tinte scure. Anche nel Varesotto siamo a livello di pre allarme e il presidente della locale Confartigianato, Giorgio Merletti, parla di «richieste assurde» da parte delle banche stressate per la mancanza di liquidità . A Torino il 4 dicembre, poi, è prevista una nuova manifestazione del movimento di «Imprese che resistono» (Icr) che tornano sulla breccia dopo essere state protagoniste nella stagione 2008-2009 e che non ha mai lesinato critiche al sistema delle banche. Da allora l’organizzazione che era presente solo a Nord Ovest si è ramificata e così al teatro Gioiello tra due domeniche saranno presenti delegazioni di una decina di regioni. In preparazione della scadenza del 4 dicembre l’animatore del movimento, Luca Peotta, ha invitato gli imprenditori a raccontare le loro storie sul blog di Icr.
A Roma come nei territori stavolta la sensazione è la stessa. Si sa che sta arrivando l’onda, l’effetto spread si trasferirà sull’economia reale e questa evenienza sta terrorizzando i Piccoli. Se le banche pagano la raccolta sull’interbancario al 7%, al prezzo che lo Stato paga per collocare i suoi Btp, è evidente che il tasso reale che praticano successivamente alle imprese finisce per variare dal 10 al 12%, con tanti saluti all’Euribor. E ciò avviene paradossalmente nel migliore dei casi ovvero quando il prestito viene elargito, ma come gli episodi raccolti da Mister Pmi dimostrano nella stragrande maggioranza dei casi i rubinetti si chiudono e basta.
Rete Imprese Italia giudica la situazione assai peggiore rispetto al primo credit crunch del 2008 quando dopo una fase di conflitto con le banche si arrivò, auspice Giulio Tremonti, a stipulare la moratoria sui debiti. Allora si verificò un blocco improvviso di un’economia che camminava, oggi gli investimenti sono ridotti al lumicino e i pochi che sono stati deliberati restano sulla carta perché non arrivano i finanziamenti a medio/lungo termine dalla banca. Quando la stretta produrrà anche la richiesta di rientro dai debiti, le aziende non avranno più il denaro circolante necessario per pagare stipendi e fornitori. Il risultato è chiaro sin da adesso: molte piccole imprese saranno costrette a chiudere. Non c’è alternativa. Quanto tempo ci vuole perché gli effetti maligni dello spread si propaghino fino al cuore dell’economia reale italiana? Mesi, dicono i responsabili delle associazioni e rifiutano di aggiungere un numero preciso ma valicare un altro trimestre con questo costo del denaro sembra impossibile. Nella precedente stretta le banche di credito cooperativo avevano fatto da cuscinetto, avevano occupato spazi di mercato non coperti e svolto in definitiva un ruolo sistemico. Oggi non è più come allora e si fatica a replicare. Come non bastasse è scaduta l’eccezione italiana su Basilea 2 in virtù della quale per dichiarare insolvente un’azienda dovevano passare non 90 giorni come nel resto della Ue ma il doppio, 180. Adesso ci siamo dovuti uniformare così banche e imprese si sono riunite per definire un protocollo che servisse ad attutire i contraccolpi della normalizzazione.
Se la realtà giornaliera è fatta di banche che disdettano gli accordi con i Confidi o rinegoziano i prestiti concessi caso per caso, che cosa si può fare per evitare il peggio o limitare i danni? Ai vertici i rapporti tra Confindustria e Rete Imprese Italia da una parte e l’Abi dall’altra sono ottimi. Insieme hanno steso il «Manifesto delle imprese» con le richieste indirizzate prima al governo Berlusconi e ora a quello Monti. Insieme dunque pensano e sperano di gestire anche il credit crunch. E ieri il direttore generale dell’Abi, Giovanni Sabatini, intervenendo all’assemblea della Cna non ha nascosto la verità . Ha confermato che i tempi a venire saranno duri. Ma oltre la diplomazia di vertice che cosa si può fare in concreto? Siccome tutto dipende a monte dall’andamento dello spread il rischio è di rimanere prede di una sindrome di impotenza e sperare che i tecnici al governo migliorino l’immagine dei Btp.
Qualcosa comunque a valle si sta cercando di fare per evitare un inizio del 2012 sotto il segno della deindustrializzazione. Si cerca così di rafforzare i sistemi di garanzia, di aggregare le risorse intorno ai Confidi e combattere la dispersione campanilistica. Si cerca di educare i Piccoli a produrre bilanci più rispondenti al vero e nello stesso tempo le associazioni di rappresentanza tentano di stringere accordi con le banche sul territorio per costruire una sorta di rete di protezione. Nonostante tutto ciò il presidente portavoce di Rete Imprese Italia, Ivan Malavasi, ieri ha parlato di «percezione di una gravità eccezionale». Tenere aperti i canali del credito diventa così la parola d’ordine della varie associazioni dell’industria, dell’artigianato e del commercio. E la loro attività prevalente in periferia. Siamo abituati ormai a sopportare 11 mila fallimenti l’anno e un saldo negativo di imprese manifatturiere superiore al 5% ma se questi numeri dovessero mettersi a correre non sappiamo ancora bene come reagire. Di sicuro dovremo imparare in fretta perché come martedì scorso ha dichiarato il presidente dell’Istat Enrico Giovannini, «i dati non ci raccontano ancora in pieno la gravità della crisi». Chi ha orecchie per intendere lo faccia perché significa che le proiezioni di cui è in possesso la statistica ufficiale correggeranno pesantemente il quadro dei dati che già conosciamo.
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