by Sergio Segio | 15 Novembre 2011 7:59
MILANO – Il messaggio che ieri l’ad Federico Ghizzoni e i suoi vice Roberto Nicastro, Paolo Fiorentino e Jean Pierre Mustier hanno servito ai loro soci non è dei più incoraggianti. Dividendo 2011 spazzato via, mano al portafogli per altri 7,5 miliardi – la terza volta in tre anni – prospettive di guadagni futuri che dipendono in gran parte dal recupero della congiuntura italiana e internazionale, tagli al personale e ritorno alla banca commerciale pura con tutto ciò che comporta, a partire dalla crisi degli sportelli. Un quadro non certo esaltante che le Fondazioni e Allianz hanno dovuto mandar giù per forza in questa fase ma non è detto che lo debbano fare anche in futuro e soprattutto con questi manager. Ad aprile vi sarà il rinnovo completo del consiglio di amministrazione e lì si vedrà quale sarà l’intenzione degli azionisti che appena un paio di mesi prima, tra gennaio e febbraio, saranno chiamati a versare altri 7,5 miliardi. Nuovi soci dalle spalle forti all’orizzonte per il momento non se ne vedono ma è presto per scoprire le carte, si vedrà sotto data quando si capirà meglio a quale prezzo verrà fatta la ricapitalizzazione. Certo, se le quotazioni non saranno lontane dai prezzi attuali, l’aumento per essere digerito dal mercato dovrà incorporare un forte sconto e dunque essere molto diluitivo per gli attuali soci i quali dovranno sopportare un rapporto di concambio penalizzante per mantenere la stessa posizione nella banca. Con lo sconto sul prezzo, inoltre, le banche d’affari partecipanti al consorzio, a partire da Mediobanca e Merrill Lynch, minimizzeranno il loro rischio di accollo di azioni inoptate e si porteranno a casa laute commissioni, manna dal cielo in un anno difficile come si preannuncia il 2012.
Dunque con l’aumento di capitale potrebbero arrivare anche le sorprese: a) nuovi soci forti attratti dal forte sconto sul biglietto d’ingresso; b) il gruppo storico delle Fondazione che si diluisce in parte; c) i libici che non possono seguire perché hanno le disponibilità ancora congelate; d) il mercato che scarica i diritti punito da un concambio troppo severo. Tutto ciò o una combinazione di questi eventi può verificarsi da qui all’inizio del 2012 mentre il management cercherà di convincere gli stakeholder che Unicredit è fuori dal guado. Ma non sarà un’opera facile poiché i numeri della banca non sono certo esaltanti. Il risultato netto del gruppo nei nove mesi è di soli 66 milioni contro 1,3 miliardi del 2010. Di chi è la colpa? La disamina dei risultati per settore non individua un colpevole unico. A soffrire maggiormente, infatti, è l’area Group corporate center in cui sono ricompresi i servizi più vari che perde 3,2 miliardi contro 1,4 dell’anno precedente. L’Italia dei servizi alle famiglie e alle Pmi (area Nicastro) guadagna 312 milioni, la Germania 98, l’Austria 60 e la Polonia 270. Il grosso dell’utile, 2,04 miliardi contro 2,18 del 2010, viene dal corporate e investment banking, area affidata al francese Mustier, mentre l’unica attività in crescita continua è l’Est Europa, una volta sotto l’ala di Ghizzoni. Ma la grossa incognita per il futuro è rappresentata da quei 48 miliardi di attività in bonis su cui Ghizzoni ha detto di voler fare ring fencing, in parole povere crediti problematici che si cercherà di dismettere in qualche modo. Entro primavera si capirà se questo è il management della svolta o se i soci, vecchi e nuovi, chiederanno un ricambio.
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