by Sergio Segio | 10 Novembre 2011 7:40
ROMA – La Finmeccanica di Pierfrancesco Guarguaglini è stata la “tasca” della Politica. Dal nero creato da alcune delle società controllate dalla holding sono state ritagliate in questi anni le provviste – «le zucchine» – per sedare gli appetiti del Palazzo. «Guarguaglini sapeva». Ma quel termine volgare – tangenti – «era bandito dalle discussioni». Quando si pagava e si truccavano i bilanci, si preferiva dirlo con un più morbido «abbiamo fatto bene i compiti». Il 19 novembre e il 22 dicembre del 2010, detenuto nel carcere di Regina Coeli, Lorenzo Cola, consulente personale e “speciale” del presidente e ad di Finmeccanica apre uno squarcio sul verminaio che i vertici della holding hanno disperatamente tentato di negare prima, di dissimulare, poi. Svela i retroscena della trattativa tra il nostro Governo e i fondi sovrani della Libia di Muhammar Gheddafi. L’impegno per sostenere l’Ansaldo in un «progetto di centrale» in Iran. Ecco dunque il suo racconto, per come lo documentano i verbali di interrogatorio con il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo, ora depositati con la chiusura delle indagini sull’affare “Digint”.
BORGOGNI SMISTAVA
Sostiene Cola che l’ufficiale “pagatore” della holding è Lorenzo Borgogni, potente capo delle relazioni esterne. «Il suo lavoro era quello di tenere i contatti con i politici che avevano i rapporti con le società del Gruppo. Da un lato, Borgogni era informato, attraverso i suoi collaboratori, dei politici che chiedevano un colloquio con responsabili vari delle società e, dall’altro, egli stesso li indirizzava a questa o a quell’altra società , a seconda della loro esigenza. Borgogni era a conoscenza, fin da epoca remota, del sistema di pagamento delle tangenti da parte dei fornitori di “Selex Sistemi Integrati” (controllata di Finmeccanica, al cui vertice siede Marina Grossi, moglie di Guarguaglini ndr). Lui stesso era beneficiario di una parte di queste tangenti. So questo con certezza perché in moltissime occasioni mi è accaduto di parlarne con lui». Borgogni dunque, «paga» e «smista» i questuanti del Palazzo, ritagliando per sé una fetta della torta. Ma Guarguaglini ne è consapevole?
COMPITI BEN FATTI
Dice Cola: «Con il Presidente non avevo mai argomenti specifici di discussione di tale natura, anche perché il suo interlocutore naturale era Borgogni. Nelle nostre conversazioni, tale attività di sovraffatturazione e di pagamento delle tangenti veniva definita “fare i compiti”. Locuzione che serviva per definire anche l’attività di “mettere a posto le carte”, la contabilità e tutto il resto per evitare che si scoprissero i fatti illeciti che intervenivano. Quando qualcuno incappava in qualche vicenda giudiziaria, dicevamo che “avevano fatto male i compiti”. Per altro, tutte le mie attività erano coperte dall’input di Guarguaglini».FALSE FATTURE
Cola sostiene di non parlare per sentito dire. «Consegnai del denaro in contanti a Borgogni in almeno due occasioni. Tra la fine del 2006 e l’inizio del 2007. Nella prima circostanza, Borgogni mi disse che aveva bisogno di 300 mila euro. E allora dissi a Marco Iannilli (socio di Cola e titolare della “Arc Trade”, società che lavorava in subappalto con la “Selex”) di procurarseli, attraverso le sovrafatturazioni delle commesse che riceveva. Consegnai il denaro a Borgogni nel suo ufficio, in Finmeccanica. Ed erano soldi destinati a lui per esigenze private».
BUSTE CON I SOLDI
«Nella seconda occasione – prosegue Cola – portai a Borgo-gni 250 mila euro in contanti, che mi aveva dato per lui Paolo Prudente di “Selex”. Io mi trovavo infatti in Selex e Prudente mi disse, sorridendo, che gli avrei risparmiato l’incomodo di portare a Borgogni 250 zucchine. Questi soldi gli servivano per pagare i politici che avevano nominato i vertici di Enav. Già un paio di anni prima, infatti, avevo assistito a un’accesa discussione tra Borgogni e Prudente, in cui Borgogni rimproverava Prudente perché diceva che i politici che avevano provveduto alla nomina dei vertici di Enav si lamentavano con lui. La ragione era che gli amministratori di Enav, al cui pagamento provvedeva Prudente, non riconoscevano poi nulla ai loro referenti politici. Ricordo che in occasione di quella discussione, Borgogni aveva detto a Prudente che doveva rendersi disponibile al pagamento di somme, ogni qual volta ne avesse avuto necessità . Quei 250 mila euro, facevano parte di questo accordo. Ricordo che portai i soldi a Borgogni che si trovava nel suo ufficio con altre due persone. Gli dissi che avevo una busta per lui da Prudente e lui mi disse tranquillamente di entrare. Quindi, mise la busta sulla scrivania davanti a queste due persone».
I FONDI LIBICI
L’uomo che all’inizio di questa storia Guarguaglini giura a malapena di ricordare, ma dalla cui possibile confessione è semplicemente atterrito, tanto che il capo della sua sicurezza aziendale, l’ex generale dell’Arma Vittorio Savino, si affanna in contatti con gli apparati della sicurezza (incontra almeno una volta il comandante del Ros, Giampaolo Ganzer, il generale della Finanza e vicecapo di gabinetto di Tremonti, Vincenzo Delle Femmine, telefona con insistenza all’allora direttore della Dia Antonio Girone per chiedere un intervento sulle indagini della Procura) ha altro da dire. Perché è Cola l’uomo cui Finmeccanica consegna le chiavi delle operazioni politicamente più sconvenienti. A cominciare dall’accordo con i fondi sovrani libici di Muhammar Gheddafi.
Ricorda Cola: «Nel 2008, circa, Guarguaglini venne convocato nel suo studio da Gianni Letta e dall’ambasciatore libico e gli fu presentata la possibilità che fondi sovrani libici acquisissero quote di Finmeccanica. Il giorno successivo, il presidente mi convocò e insieme cominciammo a lavorare all’ipotesi di un ingresso libico all’8 per cento in Finmeccanica. Una percentuale che ci sembrava eccessiva e che nei nostri colloqui venne ridotta al cinque. Dell’ingresso dei fondi sovrani libici informai personalmente il ministro Tremonti nella primavera-estate del 2009. Lo incontrai a palazzo Madama, nello studio del senatore Andreotti, alla presenza di Andreotti e dell’avvocato Vitali. Tremonti dei libici mi disse di non sapere nulla e comunque suggerì lo strumento della “Newco” per il loro ingresso. La parte operativa venne curata da Amededo Caporaletti, di Agusta, che era in contatto con i libici. Io venni pagato, utilizzando la “Print System” in Libia (società di Tommasso Di Lernia, arrestato per frode fiscale, acquirente a peso d’oro della barca di Marco Milanese e significativamente detto nel giro degli appalti Enav-Finmeccanica “er cowboy”). Guarguaglini sapeva come era stato pagato. Del resto, mi aveva detto di fare come credevo».
ANSALDO IN IRAN
Cola lavora anche per coinvolgere Finmeccanica nella costruzione di centrali nell’Iran di Ahmadinejad. Scrive in un memoriale dal carcere datato 1 ottobre 2010: «In presenza di problematiche di una certa rilevanza, veniva chiesto il mio contributo. Mi sono occupato, ad esempio, della problematica contrattuale che ha coinvolto Ansaldo in ordine alla richiesta dell’Iran di poter costruire una centrale, che poteva essere un ottimo affare per l’Italia e Finmeccanica. Ma con l’Iran ci sono regole internazionali che possono, se gestite male, avere ripercussioni negative». Nessuno sa (Cola non ha elaborato sul punto, né è stato stimolato) se e quale accordo «per il bene dell’Italia» l’uomo di Guarguaglini abbia fatto con gli Ayatollah.
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