È il giorno di Rajoy Zapatero in archivio

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MADRID. Salvo clamorose sorprese, oggi va in archivio il secondo periodo di governo socialista della storia contemporanea della Spagna. Sette anni e otto mesi di presidenza di José Luà­s Rodrà­guez Zapatero che saranno ricordati per indiscutibili passi in avanti in materie di diritti civili e di uguaglianza fra i generi, ma anche per una gestione decisamente inadeguata della crisi economica e finanziaria. Il Paese sceglierà  con tutta probabilità  di affidarsi da stasera in avanti al conservatore Partido Popular di Mariano Rajoy, candidato per la terza volta consecutiva ad assumere la carica di premier. E questa dovrebbe essere quella buona.
I sondaggi attribuiscono alla destra il 46% dei voti, che si tradurrebbero in 195 seggi al Congreso de los diputados, superando ampiamente la soglia di 176 che rappresenta la maggioranza assoluta. Se venissero confermati tali dati, i popolari potrebbero governare senza il bisogno di cercare l’appoggio delle forze minori, come i nazionalisti di centrodestra catalani e baschi, che sono soliti chiedere pesanti contropartite in cambio del loro determinante sostegno. Il pieno controllo della Camera da parte del Pp sancirebbe una posizione di dominio quasi assoluto della formazione guidata da Rajoy, perché andrebbe ad aggiungersi all’egemonia nelle Comunità  autonome, decisamente importanti nel sistema quasi-federale spagnolo. Dopo le elezioni amministrative e regionali della scorsa primavera, infatti, quattordici regioni su diciassette sono nella mani dei popolari: all’appello mancano solo Andalusia, Paese basco e Catalogna. I socialisti governano nelle prime due, mentre la Generalitat catalana è guidata dalla federazione nazionalista Convergència i Unià³, di centrodestra.
Proprio il rischio di «potere assoluto» della destra è stato agitato negli ultimi comizi dal candidato premier del Psoe, il sessantenne Alfredo Pérez Rubalcaba, per attrarre il consenso degli elettori progressisti tentati dall’astensione. Se riuscisse ad evitare la maggioranza assoluta dei suoi avversari, Rubalcaba potrebbe considerarsi ampiamente soddisfatto. In pochi scommettono, tuttavia, sulla riuscita di tale impresa: molti di più credono possibile, invece, che i socialisti possano restare al di sotto della soglia psicologica dei 125 seggi ottenuti nel 2000, quando José Marà­a Aznar stravinse contro uno Psoe in piena crisi. Quelle elezioni costarono la leadership dell’allora segretario e candidato premier socialista Joaquà­n Almunia, attuale vicepresidente della Commissione europea. Lo stesso che avverrebbe, inevitabilmente, se i risultati di stanotte dovessero presentare uno scenario analogo. L’eventuale uscita di scena di Rubalcaba aprirebbe immediatamente i giochi per la successione, dove giocherebbero le proprie carte la ministra uscente della difesa, la quarantenne catalana Carme Chacà³n, e il lehendakari (governatore) basco, Patxi Là³pez.
Proprio Catalogna ed Euskadi (Paesi baschi), infatti, sono le uniche due Comunità  nelle quali i socialisti dovrebbero rimanere primo partito, secondo i sondaggi. Nemmeno le storiche roccaforti dell’Andalusia e dell’Estremadura sembrano nelle condizioni di resistere alla valanga del Partito popolare, che dovrebbe inoltre consolidare il suo storico vantaggio in regioni-chiave come quelle di Madrid e Valencia. Nella capitale uno degli artefici del trionfo è il sindaco della città , Alberto Ruiz Gallardà³n, considerato un centrista, che tutti gli analisti vedono già  nel ruolo di vice e vero uomo forte del governo di Rajoy. Occhi puntati anche sulla performance della destra nella Castiglia-La Mancia, la regione presieduta dalla numero due del Pp, Maria Dolores de Cospedal, considerata una delle persone maggiormente influenti del nuovo scacchiere politico nazionale.
Il grave stato di salute dell’economia spagnola è stato il grande protagonista della campagna elettorale: cinque milioni di disoccupati (circa il 20% della popolazione attiva), un debito pubblico crescente e sempre più caro (con lo spread che si è avvicinato a quota 500), un deficit superiore al 6% sono le cifre della crisi. La diverse ipotesi circa la maniera di affrontarla avrebbero potuto essere oggetto di confronto, ma i popolari hanno preferito restare nel vago, approfittando della rendita di posizione che derivava da non avere avuto responsabilità  di governo.
Rubalcaba ha insistito molto nel denunciare il «programma occulto» di Rajoy, mettendo in guardia dai pesanti tagli allo stato sociale che i popolari avrebbero in serbo di fare. Ma non è mai riuscito, almeno apparentemente, a spaventare davvero. Così come difficilmente beneficerà  dello storico annuncio di «fine dell’attività  armata» da parte dell’Eta, malgrado sia in misura non indifferente merito della sua gestione del Ministero degli interni per cinque anni: la gratitudine della quasi totalità  degli spagnoli non si trasformerà  in voti.


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