Discariche ed ecomafie, la Calabria fa il pieno

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CROTONE. I rifiuti, metafora della crisi globale. Se smaltiti correttamente, potrebbero servire a distribuire reddito e ricchezza. Ma alle ecomafie conviene l’emergenza senza fine. I profitti aumentano. E a lucrare sono in pochi. Gli amministratori locali, spesso conniventi, continuano ad aprire nuove discariche. Così devastano interi territori e appestano esasperate popolazioni. Per rompere questo perverso giocattolo la Rete Difesa Territorio “F. Nisticò” oggi a Crotone chiama tutti a manifestare. Parole d’ordine: «Fine del commissariamento all’emergenza rifiuti», che in Calabria viene prorogato oramai da 15 anni, e «Basta con le bonifiche fantasma». Il corteo attraverserà  i tanti luoghi in cui si sono consumati i peggiori crimini contro le persone e l’ambiente.
Il “Commissario Monnezza”
Crotone è simbolo di un Mezzogiorno violentato da rifiuti tossici, urbani e industriali. Nel centro di Napoli, invece, la situazione sembra tornata ad una calma apparente, grazie alla via di fuga in Olanda dove pare che l’immondizia sia due volte fruttuosa. Prima gli olandesi incassano soldi per prenderla in consegna. Dopo aprono i sacchi, la differenziano e in parte ne rivendono il contenuto da avviare al riciclo. E pensare che basta affacciarsi nella periferia campana per incontrare intere comunità  che vivono ogni giorno il dilemma se abbandonare le loro case o far crescere i figli in aree contaminate! Lo sanno bene sia gli abitanti di Chiaiano e Marano sia quelli del comitato di Mugnano che pochi giorni fa sono stati sgomberati con la forza dalla celere. Avevano occupato la sede del consiglio provinciale di Napoli, nel tentativo di bloccare l’imminente seduta consiliare e chiedere subito la chiusura dell’invaso di cava del Poligono. Le autorità  locali intendono utilizzare un ulteriore sito distante 150 metri da quello già  operativo come discarica. Con la suddivisione della provincia di Napoli in Ambiti Territoriali Ottimali, gruppi di comuni potranno scavare la loro fossa in assoluta indipendenza. In alternativa, riempire quelle già  esistenti. Oppure continuare a imbottire le montagne.
Nella ricerca di agili soluzioni, anche la Calabria è all’avanguardia. Qui negli ultimi anni è stata sperimentata una quarta via… quella del mare. Dieci giorni fa la procura di Paola, in provincia di Cosenza, ha proceduto con i primi due arresti nell’ambito di un’inchiesta sull’inquinamento di uno dei tratti costieri più belli del Tirreno. Secondo l’ipotesi d’accusa, per diversi anni i responsabili dello smaltimento dei fanghi da depurazione, ne avrebbero scaricato migliaia di tonnellate direttamente in mare. Nonostante alcuni comuni minori abbiano avviato la raccolta differenziata, gli amministratori dei centri urbani più grandi insistono nel progettare inceneritori ed aprire o ampliare discariche. Di recente a Pianopoli, Rossano e Cassano le popolazioni si sono mobilitate per fermarli. Nel maggio scorso, la relazione della commissione parlamentare sul ciclo di rifiuti, presieduta da Gaetano Pecorella (Pdl), ribadendo la presenza di infiltrazioni mafiose nell’intero sistema di smaltimento, parlava chiaro: «Sono le società  miste, serbatoi di assunzioni clientelari che assorbono mezzi e risorse, a rendere impossibile l’avvio della raccolta differenziata».
Dal 23 al 25 novembre prossimi, una delegazione della Commissione Envi (ambiente, salute pubblica e sicurezza alimentare) del Parlamento europeo, composta da nove parlamentari, sarà  in Calabria. Incontrerà  le autorità  locali e giudiziarie per fare il punto della situazione. Al termine della tre giorni visiterà  le cantine di Cirò. Nel buon vino, l’oblio. I maligni sostengono che così gli accompagnatori locali proveranno a far dimenticare ai membri della delegazione europea lo scempio appena visto.
Quasi ovunque, in Italia, il panorama è desolante. Per monitorare la presenza della criminalità  organizzata al nord, Libera ha preso in esame i reati di carattere ambientale, i quali, essendo legati appunto al ciclo dei rifiuti, possono rivelare l’intensità  delle attività  mafiose. «Nelle otto regioni del Nord si viaggia a una media di 18 reati al giorno contro l’ambiente, uno ogni 70 minuti». Sono stati censiti 6.584 illeciti ambientali, con 5.799 persone denunciate o arrestate. Nel ciclo dei rifiuti nelle regioni del Nord gli illeciti sono 1.699, pari al 28% del totale nazionale.
E al centro? Emblematico il caso della Capitale, anch’essa commissariata nella gestione dello smaltimento dei rifiuti.
Una perfetta sconosciuta
«A Genova i corsi d’acqua sono stati cementificati, canalizzati e tombati, cioè coperti, nascosti» denunciava il Wwf nelle ore successive all’alluvione. Perché un fatto è certo: alla base di tali catastrofi ci sono l’incuria dei territori, l’assenza di controlli su costruzioni e speculazioni edilizie, l’erosione dei suoli. C’è poi un vero e proprio scandalo, quello delle bonifiche incompiute. Nonostante l’entrata in vigore nel 1999 di una legge nazionale sui siti da bonificare, nonostante l’approvazione nel 2001 di un Programma nazionale con 50 aree prioritarie su cui intervenire, poco o niente è stato fatto. E il disastro lo percepisci andando in giro per l’Italia. L’amianto dei poli industriali che producevano l’eternit a Casale Monferrato, Bagnoli, Broni o Bari, e quello delle cave da cui veniva estratto a Balangero ed Emarese. I policlorobinefili a Brescia, gli Ipa nelle acque sotterranee di Falconara Marittima, l’etilene di Gela, i fanghi al mercurio di Brindisi, il benzene nell’aria di Piombino, i metalli derivanti dalle vecchie lavorazioni della cokeria di Massa, i solventi organoalogenati della basse valle del Chienti e, poi, la diossina a Pitelli e Marghera e le ferriti di zinco a Crotone. E, ancora, il mercurio scaricato a mare a Priolo e nella laguna di Grado, il cadmio nel suolo e nel sottosuolo di Livorno, il Ddt nel lago Maggiore. È davvero lungo (ed impressionante) l’elenco dei veleni che inquinano le 50 aree censite nel Programma nazionale: 154 mila ettari di territorio contaminato, di cui la metà  a Casale Monferrato, circa 15 mila nel litorale domitio-flegreo e nell’agro aversano, 5800 a Brindisi e 3500 a Marghera. I rifiuti, non solo industriali, all’origine delle contaminazioni (scorie da fonderie, sali da rifusione di alluminio, fanghi, oli esausti, melme acide, ceneri leggere da incenerimento, pesticidi, fumi della siderurgia, per citarne alcuni) richiederebbero interventi complessi. Anche per la quantità : si va dai 7 milioni di metri cubi cubi di sedimenti contaminati da dragare in laguna a Venezia al milione di metri cubi di rifiuti da rimuovere nelle 110 discariche abusive del frusinate, dai 300 mila metri cubi dell’area intorno ai fiumi Saline e Alento in Abruzzo ai 600 mila metri cubi di terreni contaminati da Ddt, arsenico e mercurio di Pieve Vergonte in Piemonte, passando per le gigantesche emissioni di monossido di carbonio dell’Ilva di Taranto che da sola produce il 70% di quelle nazionali e il 10% di quelle europee. Con rischi sanitari gravissimi come i sarcomi molli di Mantova nei pressi dell’inceneritore ex Enichem, le malformazioni congenite nel triangolo Augusta-Priolo-Melilli e il mesotelioma pleurico degli abitanti di Biancavilla nel catanese.
I furbetti della bonifica
Eppure, un serio piano di bonifica e decontaminazione dei suoli non è stato mai avviato. «È spesso mancato un cronoprogramma con dotazioni finanziarie certe, legate a dettagliate caratterizzazioni delle aree» ci spiega Silvio Greco, biologo marino, già  direttore scientifico dell’Istituto Centrale per la Ricerca Scientifica e Tecnologica applicata al Mare ed ex assessore calabrese all’Ambiente. Anzi, qualche volta si è trattato di bonifiche farsa, di operazioni truffaldine. Come, guarda caso, a due passi da Genova, tra Cogoleto ed Arenzano. Nell’area dello stabilimento Stoppani, oggetto di una bonifica a spese dell’Unione europea, si è rivelato una bufala il cosiddetto piano Envireg risalente al 1997, nonostante gli annunci roboanti di politici ed amministratori. Nello scorso aprile la Corte dei Conti ha chiuso il capitolo condannando al risarcimento dei danni erariali due dirigenti aziendali e tre funzionari regionali che chiusero gli occhi laddove, di fronte al disastro ambientale di cui erano testimoni, avrebbero dovuto tenerli ben aperti. Tutti costoro dovranno restituire allo Stato poco più di un milione di euro «per aver fatto figurare la bonifica di 11 mila tonnellate di terreni al cromo esavalente in realtà  mai trattate». Ancor più inquietante, come stigmatizzato più volte da Legambiente nei Rapporti Ecomafia, è quanto emerge da diverse indagini giudiziarie circa le rotte di smaltimento illecito dei rifiuti e delle terre contaminate provenienti da interventi di bonifica. Come i 52 mila metri cubi di terre scavate dal sito chimico di Mantova per realizzare la centrale turbogas di Enipower, mischiate ad altri materiali e, poi, smaltite illegalmente nel Polesine. E dire che, come accade in altri Paesi, il risanamento ambientale sarebbe un importante volano occupazionale. Si creerebbero nuove professionalità  e posti di lavoro, costituendo nuovi impianti di trattamento per le bonifiche, potenziando il sistema dei controlli ambientali, risanando e riconvertendo decine di migliaia di ettari di suoli.
Sogni, utopie, chimere, in quest’Italia dove (a destra e sinistra) la questione ambientale è vista come un ingombro o poco più. Prendiamo ancora il caso di Crotone. Dove l’industrializzazione ha lasciato in eredità  solo scorie e veleni, impianti abbandonati e rifiuti tossici impastati nei mattoni delle scuole. La bonifica (a parole) qui tutti la cercano, ma ancora nessuno l’ha vista. Colpa di un’imbarazzante giunta regionale, guidata da Peppe Scopelliti (Pdl), ma anche di una pessima giunta comunale (dal Pd al Pdci) e di un sindaco, Peppino Vallone (Pd), che da 6 anni hanno solo promesso e mai mantenuto. Nonostante una valanga di soldi stanziata e scomparsa chissà  dove. «Il caso Crotone è emblematico – continua Greco – perché ancora oggi non si sa con esattezza il livello di contaminazione raggiunto e non esiste un registro dei tumori che accerti l’incidenza dell’inquinamento sulla popolazione. La tombatura, proposta dall’Eni per chiudere la pratica, è davvero inaccettabile in quanto umilia un intero territorio». E proprio in questi luoghi cari a Pitagora che oggi scenderanno in piazza migliaia di persone dalla Calabria e da tutta la penisola. Per gridare, in quella che era una volta l’ex Stalingrado d’Italia ed oggi un cimitero industriale, «Adesso basta!».

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REATI AL GIORNO Al Nord è questa la media degli illeciti ambientali, uno ogni 70 minuti. Sono in tutto 1.699, il 28% del totale nazionale. L’ILVA DI TARANTO Sono le emissioni dell’azienda siderurgica sul totale nazionale. Si tratta del 10% delle emissioni complessive europee.


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