Dieci riforme a costo zero per far ripartire l’Italia

by Sergio Segio | 4 Novembre 2011 7:06

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E’ in libreria il saggio di Tito Boeri e Pietro Garibaldi “Le riforme a costo zero” (Chiarelettere). Pubblichiamo uno stralcio del capitolo introduttivo
«Non ci sono soldi». Sembra essere questo il motivo principale per cui in Italia non si fanno le riforme. Nonostante l’Italia cresca meno dell’Europa da oltre un decennio e la necessità  di riforme sia sentita da tutti gli italiani e conclamata da tutti i politici, le riforme non si fanno. Quale che sia il colore politico dei governi, quale che sia la congiuntura. (…) Il ragionamento del «non ci sono i soldi per fare le riforme» è profondamente sbagliato per due motivi, che sono alla base della decisione di scrivere questo libro. Il primo motivo è interno al ragionamento stesso. In Italia il vento della crescita non tornerà  mai a spirare in poppa senza un vero e proprio programma di riforme. (…) Il secondo errore nel ragionamento del «non ci sono i soldi» è che si tratta di un falso problema. Esistono moltissime e importantissime riforme che si possono fare «senza aumentare di un solo euro il debito pubblico». Sono le cosiddette «riforme a costo zero», il tema alla base di questo libro. (…) Ci limiteremo in questa introduzione a fornirvi i titoli delle riforme.
La prima riguarda il governo dell’immigrazione, sin qui solo subita dal nostro Paese. Occorre investire nell’integrazione degli immigrati riducendo al contempo i costi per chi li accoglie.
La seconda riforma affronta la transizione tra scuola e lavoro, cerca di prosciugare il bacino immenso di giovani che oggi in Italia non sono né al lavoro né impegnati in un corso di studi e si basa su due cardini fondamentali: il contratto unico a tutele progressive e l’apprendistato universitario.
La terza riforma riguarda la contrattazione salariale e l’introduzione di un salario minimo. (…). Nel riformare la contrattazione è fondamentale affrontare il problema delle rappresentanze sindacali. Si può fare molto a partire dall’accordo raggiunto a fine giugno 2011 da Cgil, Cisl, Uil e Confindustria.
La quarta riforma riguarda la macchina dello Stato e gli incentivi dei dipendenti pubblici. Si tratta di installare un nuovo motore per la macchina dello Stato incentivando comportamenti virtuosi nel pubblico impiego, premiando le amministrazioni (piuttosto che i singoli), anziché introdurre nuove regole cervellotiche quanto inutili come fatto sin qui.
La quinta riforma guarda al lavoro autonomo e, in particolare, agli ordini professionali. Si tratta di avere professionisti più liberi e ordini trasparenti. (…)
La sesta riforma serve a incoraggiare il lavoro di più persone nella stessa famiglia, rendendole meno vulnerabili a eventi avversi e attivando il capitale umano oggi largamente inutilizzato delle donne. È una miniriforma fiscale che trasforma le detrazioni per coniugi e gli altri familiari a carico in sussidi condizionati all’impiego. (…).
La settima riforma si rivolge al sistema pensionistico e prevede l’estensione a tutti delle regole del metodo contributivo nel determinare l’età  di pensionamento, nonché le riduzioni e gli incrementi delle pensioni associati a un ritiro dalla vita lavorativa prima o dopo aver raggiunto i 65 anni di età . (…) L’ottava riforma si colloca all’intersezione fra mercato del lavoro e mercati finanziari. Riguarda l’accesso al credito per chi vuole crescere, per le imprese che vogliono diventare più grandi, e richiede di procedere su piani diversi: la riforma della legge sull’usura, il superamento delle interconnessioni presenti a vari livelli nel nostro sistema di corporate governance, una authority per le fondazioni e la separazione fra banche e società  di gestione del risparmio. (…)
La nona riforma guarda alla selezione della classe politica. Proponiamo di avere meno politici sia a livello nazionale, sia locale, per sceglierli meglio. Riteniamo utile anche impedire ai politici di cumulare i compensi da parlamentari con quelli di altre attività  e di modificare le regole di determinazione dei loro compensi indicizzandoli alla crescita del reddito pro capite degli italiani. (…)
La decima riforma, infine, vuole costruire una costituency, un partito a favore delle riforme. Lo fa allargando il voto ai sedicenni e cambiando i criteri di calcolo delle quiescenze in modo tale da incentivare la fascia più consistente del nostro elettorato, i pensionati, a sostenere politiche per la crescita.

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