by Sergio Segio | 17 Novembre 2011 9:24
Mai la Nato è stata impegnata in tante operazioni militari come oggi: ha appena terminato la guerra di Libia, dove ha effettuato 10mila missioni di attacco aereo sganciando 40-50mila bombe, ma continua quella in Afghanistan e ne sta preparando un’altra contro l’Iran o la Siria.
L’ammiraglio Giampaolo Di Paola è il primo militare in servizio attivo a ricoprire, nella repubblica italiana, l’incarico di ministro della difesa. Non solo è in servizio, ma presiede il comitato che riunisce i capi di stato maggiore, massimo organo militare dell’Alleanza. Il parere del comitato, che elabora la strategia, è determinante nelle decisioni sull’uso della forza militare. E’ stato dunque Di Paola, quale presidente del comitato, a dare l’ok alla guerra di Libia.
A questa massima carica nella Nato l’ammiraglio è arrivato dopo essere stato nel 2001, in Italia, segretario generale della difesa e direttore nazionale degli armamenti e, nel 2004, capo di stato maggiore della difesa, incarico che ha mantenuto sia sotto il governo di Silvio Berlusconi che sotto il governo di Romano Prodi, finché nel giugno 2008 è stato nominato presidente del comitato militare della Nato.
In veste di direttore nazionale degli armamenti, Di Paola firmò al Pentagono, il 24 giugno 2002, il memorandum d’intesa che impegnava l’Italia a partecipare, come partner di secondo livello, al programma del caccia statunitense Joint Strike Fighter, il che comporta per il nostro paese una spesa di oltre 15 miliardi di euro. Una scelta non solo militare ma politica, che lega l’Italia ancora più strettamente al carro da guerra del Pentagono.
Il Jsf, successivamente denominato F-35 Lightning perché «come un fulmine colpisce il nemico con forza distruttiva e inaspettatamente», è un cacciabombardiere di quinta generazione concepito per le missioni di attacco, compreso il first strike nucleare.
In veste di capo di stato maggiore della difesa, l’ammiraglio Di Paola ha dato un importante contributo alla mutazione genetica delle forze armate italiane. Secondo la pianificazione da lui elaborata, si devono trasformare le forze armate in uno «strumento proiettabile», dotato di spiccata capacità «expeditionary» coerente col «livello di ambizione nazionale». Tale modello è funzionale alla strategia di «proiezione di potenza» adottata dagli Stati uniti e quindi dalla Nato.
Si capisce quindi perché l’ammiraglio Di Paola sia uno dei militari più apprezzati al Pentagono. E poiché sono gli Stati uniti ad avere la leadership indiscussa della Nato, la decisione di rimuovere anticipatamente l’ammiraglio Giampaolo Di Paola dalla sua alta carica nell’Alleanza, perché assuma quella di ministro italiano della difesa, è stata presa, prima che a Roma, a Washington.
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