by Sergio Segio | 17 Novembre 2011 7:50
ROMA — A chi ha subito bollato quello di Mario Monti come «il governo dei banchieri», parole del rappresentante del Pdl nel Forum dei giovani Andrea Roberti che per questo martedì ha disertato l’incontro con il presidente incaricato, si potrebbero ricordare un paio di cose. La prima, che l’ex premier Silvio Berlusconi è proprietario insieme alla famiglia di Ennio Doris del gruppo Mediolanum, nonché importante azionista di Mediobanca. Nel cui consiglio siede sua figlia Marina. La seconda, che una delle figure di maggior peso dell’ex partito di maggioranza del suo governo, ovvero Denis Verdini, ricopriva contemporaneamente l’incarico di coordinatore del Pdl e di presidente del Credito cooperativo fiorentino. Che è pur sempre una banca. Questo per dire come sia impegnativo, nella nostra politica priva di regole serie, avventurarsi in certe affermazioni.
Certo, sappiamo bene che quello guidato fino a poche ore fa da Corrado Passera è ben altra cosa rispetto al piccolo istituto di Campi Bisenzio. Oltre a essere azionista del gruppo Rcs Mediagroup che edita il Corriere, Intesa San Paolo è anche nel capitale dell’Alitalia e di Ntv, la compagnia ferroviaria presieduta da Luca Cordero di Montezemolo: imprese, queste ultime, che operano in settori di stretta competenza del nuovo ministro dello Sviluppo e delle Infrastrutture. Il quale si è premurato di rassegnare le immediate dimissioni dalla banca.
Se già non è accaduto mentre scriviamo, è scontato che il gesto di Passera sarà imitato in poche ore da altri ministri colti pressoché di sorpresa dalla chiamata di Monti. E certamente non per il timore di trovarsi messi alla berlina in fondo a un bollettino parlamentare, unica insignificante sanzione prevista per i membri di governo che infrangono le ridicole norme sul conflitto d’interessi attualmente in vigore. Ancor prima, non abbiamo dubbi, per un semplice fatto di serietà . Alcuni di loro, in virtù dell’esperienza, dell’autorevolezza oppure semplicemente della professione, erano titolari di incarichi bancari (e non solo) di una certa importanza oggettivamente incompatibili con il governo. Fino a ieri il ministro del Lavoro Elsa Fornero era vicepresidente del consiglio di sorveglianza di Intesa San Paolo: impegno a cui sommava quello di consigliere del gruppo cementiero Buzzi Unicem. Il responsabile del Turismo Piero Gnudi era consigliere di Unicredit: carica a cui sommava quelle nel consiglio dell’impresa di costruzioni Astaldi e di varie altre società tra le quali l’editrice del Sole 24ore. Ma della famiglia Unicredit ha fatto parte in una certa misura anche Francesco Profumo, ministro dell’Istruzione (e curiosamente omonimo di Alessandro Profumo, ex timoniere di quella banca): è stato fino allo scorso anno consigliere di Unicredit private bank. Per inciso, Profumo Francesco a ieri figurava ancora nei consigli di Pirelli e Telecom Italia.
C’è poi Piero Giarda, ministro dei Rapporti con il parlamento. Fra i suoi incarichi, quelli di consigliere della Scala di Milano e dell’Istituto europeo di Oncologia. Ma anche di presidente della Cassa del Trentino e consigliere di sorveglianza del Banco Popolare.
Considerando pure lo stesso Monti, in passato consigliere della Comit e poi advisor della Goldman Sachs, i ministri con un trascorso «bancario» di qualche genere sono un terzo del totale. Ma il caso vuole che, nel governo con la percentuale più alta di componenti con tale caratteristica, abbia un posto pure colui che i banchieri dovrebbero vedere come il fumo negli occhi. Almeno per quello che appena un anno fa il presidente dell’Antitrust Antonio Catricalà denunciava con aria grave: «Il livello di concorrenza del sistema bancario è assai vicino a quello di un ambiente oligopolistico…».
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