by Sergio Segio | 17 Novembre 2011 7:21
ROMA – Ci sono i precari, i lavoratori «obbligati» ad un part-time di poche ore, i cassintegrati da 700 euro al mese e gli sfiduciati che vorrebbero trovare un’occupazione, ma si sono rassegnati ad aspettarla stando a casa. Ci sono tante donne, tanti giovani, ma anche tanti capi-famiglia del Nord che perso un posto non ne hanno ancora trovato un altro. E infine ci sono i disoccupati «ufficiali», quelli che – rispondendo ad una definizione più restrittiva – dichiarano di essere già in cerca di lavoro e di essere pronti a rispondere all’offerta. Un vasto popolo in sofferenza cui manca un lavoro tutelato e il conseguente reddito. Un universo spezzettato che le statistiche ufficiali non considerano unitariamente.
L’Ires Cgil lo ha fatto e le cifre che sono uscite da suo rapporto («Un mercato del lavoro sempre più atipico: segnali di crisi») sono un colpo duro a chi pensa che l’Italia, in fondo, sia messa meno peggio di tanti altri: nell’area della disoccupazione allargata, infatti, vivono 8milioni e 300 mila lavoratori italiani, «oltre il 30 per cento della forza lavoro potenziale del Paese» specifica lo studio.
A tale livello si arriva aggiungendo ai 3,6 milioni di senza lavoro i 600 mila cassintegrati che rischiano di restare senza reddito una volta «consumato» il sostegno degli ammortizzatori sociali, i milioni e mezzo di atipici e di precari e 1,6 milioni di lavoratori costretti ad un part-time involontario. E il totale non tiene conto del lavoro nero.
«Calcolando l’effettiva quota di scoraggiati che dichiarano di essere disponibili a lavorare, si arriva dunque ad un tasso di disoccupazione reale del 13 per cento – commenta Fulvio Fammoni, segretario confederale Cgil – Si tratta di 8 milioni di persone con stipendi medi fra i 600 e 700 euro al mese, con tutele in via di esaurimento, già finite per tanti disoccupati, inesistenti per tantissimi precari il cui numero è in costante crescita» Questa, sottolinea la Cgil, è la «vera emergenza per il futuro, il primo problema da risolvere». «I consumi calano e la produzione si ferma, ma chi dovrebbe consumare se questa è la realtà ?» sottolinea Fammoni, convinto che «per ridurre la precarietà ed estendere le tutele servano risorse» e che «le risorse si possono trovare varando una patrimoniale e destinandone una parte allo sviluppo».
Ma il lavoro va rilanciato non solo in quantità , anche in qualità . In Italia, secondo il rapporto, «a differenza di quanto avviene negli altri Paesi europei, perdono quota le professioni scientifiche ad elevata specializzazione e le professioni tecniche, crescono invece quelle non qualificate ed esecutive». Nel futuro tutto ciò avrà un peso: il Cedefop, la Commissione europea sulla formazione, calcola che per il 2020 il mercato del lavoro europeo richiederà il 31,5 per cento di occupati con alti livello di competenza (oggi in Italia sono solo il 12,8 per cento) e il 18,5 con livelli bassi (da noi, ora, è il 45,2).
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