Crisi. Con le spalle al muro

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 Il mercato, evidentemente, condivide gli stessi dubbi di Umberto Bossi. «Ditemi voi se l’Italia è un paese che può durare», aveva detto domenica sera il leader leghista accanto a Tremonti in una pseudo festa di Halloween padana.

Detto fatto. Piazzaffari è crollata come dopo l’11 settembre o il crollo di Lehman Bros. Mentre nonostante gli acquisti della Bce lo «spread» sui titoli di stato è balzato sopra al 4,5% (per capire l’ampiezza della crisi bisogna ricordare che a settembre del 2009 era inferiore all’1,3%, più o meno il livello attuale di quello francese).
Mentre sulle borse e tra le capitali europee scoppia l’incendio Berlusconi è in Sardegna, nella sua villa. Oltre a decidere di anticipare di poche ore il suo ritorno a Roma, la sua prima reazione ufficiale è stata accusare il referendum greco dell’«andamento negativo degli scambi» con una nota di Palazzo Chigi. Nello staff del Cavaliere giocano ancora con le parole. L’Italia e il suo debito pubblico sono «il barometro del successo dei leader europei», scriveva il Financial Times. Non la causa, quindi, ma la misura.
Le telefonate con Angela Merkel e Giorgio Napolitano mettono il premier con le spalle al muro. L’agenda e le scadenze concordate giovedì scorso a Bruxelles con la famosa lettera all’Europa non valgono la carta su cui sono scritte. Da giovedì lo spread è aumentato di oltre 30 punti base. Se l’idea di avere a disposizione 9-12 mesi per sistemare i conti era lunare prima adesso è ridicola. Bisogna anticipare se non tutto, molto.
A Palazzo Chigi in nottata si riunisce il gabinetto d’emergenza: oltre a Berlusconi, Tremonti, Letta e Bonaiuti arrivano alla spicciolata anche Romani, Matteoli, Sacconi, Rotondi e Frattini. Della Lega c’è solo Calderoli. Bossi era annunciato ma mentre scriviamo non risulta ancora pervenuto. Non è un consiglio dei ministri ma è come se lo fosse. L’Italia presenterà  domani a Cannes le misure che attende approvare subito. Quali e come?
La maggior parte del Pdl (da Gasparri a Crosetto) preferirebbe introdurre degli emendamenti mirati all’interno della legge di stabilità  (la finanziaria) in discussione al senato in modo da avvicinare alla maggioranza soprattutto l’Udc di Casini. Ma è difficile che misure approvate dalle due camere tra un mese (e chissà  in quale forma) potranno calmare mercati così turbolenti. Anche se il governo dovesse rimanere in piedi, è inevitabile un nuovo decreto legge – concordato informalmente con Quirinale, Economia e Bce – che trovi un veloce via libera parlamentare grazie al consenso delle opposizioni come accaduto nelle due manovre di luglio e agosto.
La situazione è critica. Per scelte del passato, nel 2012 l’Italia deve restituire e rinnovare oltre 300 miliardi di debiti (su un totale di 1.600). Con questo tasso di interesse l’attuale crisi di liquidità  si trasformerebbe inevitabilmente in una crisi di solvibilità . Per dare un’idea delle dimensioni, la linea di credito straordinaria di salvataggio eventualmente offerta dal Fmi al nostro paese ammonterebbe a 44 miliardi. Mentre le stime sui Btp acquistati dalla Bce dal 5 agosto ad oggi parlano di circa 70 miliardi (appena 30 quelli di altri paesi europei).
Ergo, l’Italia deve per forza collocare il suo debito sul mercato. All’Economia, visto lo scetticismo delle banche e dei fondi di investimento, immaginano collocazioni preferenziali dirette alla clientela retail, i «bot people». Ma è un’operazione complessa che in ogni caso non potrà  essere efficace prima della prossima estate.
Oltre alla credibilità  (perduta) del governo, politiche così complesse hanno bisogno di una maggioranza solida in parlamento. E’ di ieri l’addio ufficiale al Pdl dell’ex sottosegretario Antonione. La motivazione: «Berlusconi se ne deve andare, non si può prendere in giro il paese». Lo smottamento è iniziato. Alla camera la soglia di 316 voti è sempre più lontana. E anche al senato lo scarto di 18 voti è in bilico, visti malumori nell’ala del Pdl ispirata da Pisanu. Pochi parlamentari possono fare la differenza.
Argomenti oggettivi che però non hanno mai convinto Berlusconi a fare un passo indietro. Nella notte si studia il menù da portare al G20. Idee stranote: il condono fiscale, 5 miliardi di privatizzazioni di beni pubblici, la liberalizzazione degli orari dei negozi e, voce delle ultime ore, perfino un’ulteriore disperato aumento dell’Iva.


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