Contributivo contro le disparità padri-figli e uscita dal lavoro non prima di 63 anni
ROMA – Due regole nuove e una serie d’interventi per ridurre le tante diseguaglianze presenti nel sistema pensionistico. Dovrebbero essere queste le linee guida sulle quali si muoverà il governo Monti in campo previdenziale.
Nel suo complesso, ha precisato il premier nell’intervento al Senato, il sistema «è fra i più sostenibili in Europa» e l’età di uscita è superiore a quella prevista in Francia e Germania, ma il quadro attuale contiene «ampie disparità di trattamento tra fasce d’età e categorie, con alcune aree di privilegi». E su questi precisi punti quindi che si interverrà , e «non con l’accetta», come ha precisato il neo ministro del Welfare Elsa Fornero. Il governo, ha assicurato, si atterrà alle tre parole chiave di Monti (risanamento, equità , crescita): «Su queste basi se dovessi trovare un’opposizione dei sindacati ne sarei stupita» ha detto.
Sull’onda di queste prime indicazioni, sembra quindi di capire che gli interventi a favore dell’equità riguarderanno la diversità di trattamento fra chi può oggi calcolare il futuro assegno basandosi sul sistema retributivo e chi deve poggiare solo sul contributivo. Ma ci saranno novità anche sulle pensioni di anzianità e – si presume – sul sistema delle aliquote.
Nel primo caso – la diversità di trattamento – la formula più accreditata è l’estensione del sistema pro-rata a tutti. Un progetto al quale, nei mesi scorsi, ha lavorato la stessa ministro Fornero. Le norme attuali prevedono che chi – all’epoca della riforma Dini, nel 1996 – poteva già contare su 18 anni di contributi, può ancor oggi calcolare la pensione solo in base alle retribuzioni percepite. Un sistema che li avvantaggia rispetto ai lavoratori che, assunti dopo, avranno una pensione calcolata in tutto o in parte con il pro-rata, ovvero basata solo sui contributi versati. L’ipotesi di cui si parla prevede anche per i “fortunati” un sistema misto: retributivo fino al dicembre di quest’anno, ma dal 2012, per gli anni di lavoro che restano, la pensione si calcolerà basandosi sui contributi. Attorno a questa idea sta già maturando un consenso trasversale: a favore del pro-rata, per esempio, è anche un gruppo di parlamentari che – guidati da La Loggia del Pdl, Linda Lanzillotta del Terzo Polo e Vitali del Pd – la prossima settimana presenterà al governo Monti una serie di proposte d’intervento.
L’altra novità dovrebbe riguardare l’innalzamento dell’età pensionabile minima – per tutti – a 63 anni. L’obiettivo è quello di eliminare la pensione d’anzianità , introducendo una forcella flessibile sull’età d’uscita: dai 63 ai 69-70 anni. Chi andrà in pensione fra i 63 e i 65 subirà una penalizzazione di trattamento, chi accetterà di ritirarsi dal lavoro dai 66 in poi potrà godere di un piccolo bonus. Proprio basandosi su questi due interventi (pro-rata per tutti e uscita fra i 63 e i 67 anni) il ministro Fornero nelle scorse settimane aveva quantificato risparmi fra i 30 e i 40 miliardi entro il 2016.
Ma si ragiona anche sulle aliquote contributive: oggi variano dal 33 per cento versato dai lavoratori dipendenti all’8,6 dei deputati e senatori. I sindacati assicurano che oggi, i parasubordinati, con il loro 27,7 per cento d’aliquota versata, coprono i buchi del fondo pensionistico dei dirigenti. Il governo starebbe pensando ad una parificazione del sistema.
Prima di commentare e dare giudizi, i sindacati attendono proposte più precise. «L’equità che chiediamo è quella che permetterà ai giovani di uscire da questo tunnel della redistribuzione al contrario», dice Vera Lamonica, segretario confederale Cgil. In attesa di piani dettagliati una cosa – chiedono – il governo però può fare subito una cosa: vari il decreto che proroga e allarga la mobilità a quei 35 mila lavoratori che stanno perdendo il sostegno degli ammortizzatori sociali. Era previsto nella Legge di Stabilità , ma il governo Berlusconi se n’è andato senza firmarlo.
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