Contratti nazionali addio. Le promesse lui le mantiene

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Gli italiani e le italiane lo votarono e lui, sia pure con un lungo percorso attraverso due mandati, ha tenuto fede alla promessa. Con l’articolo 8 della manovra economica d’agosto, infatti, il contratto nazionale di lavoro è stato mandato in pensione attraverso il meccanismo delle deroghe e il trasferimento delle decisioni importanti al secondo livello di contrattazione, quello aziendale. In più, i titolari dei contratti aziendalizzati non sono più i lavoratori ma le organizzazioni sindacali, essendo negato ai diretti interessati il diritto di voto. Non basta: titolari non sono tutti i sindacati ma quelli firmatari. È il modello Pomigliano, che secondo i soliti ingenui o i nuovi complici (così il mastino di Berlusconi, il ministro Sacconi, ha rinominato Cisl e Uil) sarebbe rimasto unicum. Gli applausi di Marchionne il governo se li è meritati.
Tutto era iniziato con l’attacco all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori e con il «Patto per l’Italia», firmato separatamente con Cisl e Uil: l’assalto andò a sbattere contro tre milioni di persone accorse al Circo Massimo su chiamata della Cgil guidata da Sergio Cofferati. Ma l’attacco ai diritti non si fermò, così come le manovre per rompere a più riprese l’unità  sindacale e isolare la Cgil. Fu la Fiom a pagare i prezzi più alti con gli accordi separati sponsorizzati dal governo e firmati da Federmeccanica, Fim e Uilm. Uno nel secondo governo Berlusconi e uno nel terzo, nel 2009, a cancellazione di quello unitario firmato appena un anno prima. Nello stesso anno, nel 2009, arrivò l’accordo separato con Confindustria, Cisl e Uil che riscrisse, naturalmente in peggio, il sistema contrattuale italiano.
Il capolavoro del ministro Sacconi, angelo vendicatore dei padroni contro il sistema dei diritti del lavoro conquistati in decenni di lotte, è stato lo spodestamento delle parti sociali con l’articolo 8 della manovra. E dire che solo poche settimane prima, il 28 giugno di quest’anno, anche la Cgil aveva firmatoun accordo con Confindustria, Cisl e Uil che ridimensionava il peso dei contratti nazionali a favore di quelli aziendali, introducendo il sistema delle deroghe e non rendendo obbligatorio il voto dei lavoratori. Un accordo deciso a prescindere, che vale per tutti i lavoratori ma che tutti i lavoratori non hanno potuto valutare con un voto. Ma a Marchionne tutto questo non era ancorasufficiente, pretendeva una legge che legittimasse tutti gli accordi imposti con il diktat «lavoro in cambio dei diritti» negli stabilimenti Fiat. Un legge che lo aiutasse anche a uscire dalla Confindustria. E la legge, puntuale, è arrivata a cavallo del solito angelo vendicatore.
Chi l’ha detto che Berlusconi non mantiene le promesse?


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