Colloquio di due ore, si studiano squadra e tempi

by Sergio Segio | 11 Novembre 2011 7:41

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Poi, nel pomeriggio, Barak Obama, che lo chiama da Washington esprimendo «fiducia» — così riferisce la Casa Bianca — nella capacità  del nostro Paese di «attuare un programma di riforme aggressivo e in grado di ripristinare la fiducia del mercato in questo momento difficile». E tra queste due certificazioni positive, il ritiro di Lorenzo Bini Smaghi dal board della Bce, ciò che risolve qualche frizione con l’Eliseo.
Ha tirato il fiato, ieri, Giorgio Napolitano. Appena un po’, ma quel che gli bastava per sgombrare la mente da certe catastrofiche profezie sul futuro prossimo, come quella dell’economista Roubini, il quale sostiene che potremmo avere «i giorni contati nell’eurozona». O il cupo scenario veicolato a Parigi, che prospetta il rischio di un’Italia relegata nella serie B di un euro «a due velocità ».
No, il presidente della Repubblica non si rassegna a un simile destino. «L’Europa attende da noi con urgenza segni importanti di assunzione di responsabilità , saremo all’altezza del compito», ripete, stendendo la sua rete di protezione. Così, dopo le dimissioni di Berlusconi (posticipate a sabato, ma sicure al di là  di ogni dubbio, secondo quanto precisato con una nota dal Colle dell’altra sera), ha preso su di sé l’impegno di tentare la formazione di un nuovo governo e di evitare le elezioni e la conseguente paralisi di tre-quattro mesi.
Un onere che, oltre a un intenso lavoro di sorveglianza interna, implica l’urgenza di rassicurare l’Europa e il mondo. Con il cancelliere tedesco, si sa, il rapporto è saldo e di reciproca stima, come dimostrano i frequenti contatti. E con il presidente americano è lo stesso: basta ricordare che, quando scoppiò la crisi della Grecia, Obama volle sondare i capi degli esecutivi di Germania, Francia, Spagna, Grecia e, per l’Italia, invitò negli Usa proprio Napolitano, da lui non a caso definito «un leader morale».
Nel colloquio di ieri il capo della Casa Bianca ha ribadito «con fiducia» quest’espressione, chiedendo notizie sui provvedimenti annunciati per trovare «soluzioni più stabili» al marasma finanziario «attraverso la formazione di un diverso governo». Le ansie di Washington sono comprensibili: un nostro default farebbe collassare tutto l’euro e ricadrebbe drammaticamente pure Oltreatlantico. Il presidente della Repubblica gli ha spiegato passo passo quel che è accaduto negli ultimi giorni a Roma e soprattutto quel che presto succederà , raccontandogli le prospettive in cui confida e senza però nascondere le incognite politiche ancora aperte.
Incognite legate ai difficili negoziati tra i partiti e dentro i partiti sull’ipotesi — ormai acclarata — di un incarico al neosenatore a vita Mario Monti. «Una sorta di preincarico, una mossa geniale», quella di sottrarlo, attraverso il laticlavio di Palazzo Madama, al rango di un puro e semplice «tecnico» elevandolo a un ruolo istituzionale: tale da consentire al Colle di chiamarlo in servizio per formare un governo appunto «istituzionale», di larghe intese. Questo il giudizio ricorrente, nei palazzi della politica e fra gli osservatori. Ma è chiaro che, per quanto possa risultare arduo alle forze politiche eludere oggi un richiamo alla responsabilità  su quel nome, i passaggi che cominceranno sabato sera, dopo il via libera alla legge di stabilità  e le dimissioni del Cavaliere, restano disseminati di pericoli.
Della road map e della tempistica (che prevede consultazioni rapidissime già  domenica e forse nella stessa giornata l’annuncio dell’incarico, mentre lunedì si potrebbe avere la lista dei ministri e il giuramento) Napolitano ha di sicuro parlato in serata con Monti, presentatosi al Quirinale per ringraziarlo dell’onore ricevuto. Ufficialmente il faccia a faccia di quasi due ore ha avuto per oggetto solo «gli incontri internazionali che l’economista ha avuto a Berlino, dov’è emerso un quadro di grande preoccupazione sulla “malattia” dell’Italia».
Inverosimile, però, che il capo dello Stato non abbia messo a fuoco con l’ospite i termini del mandato da affrontare, il tasso di rinnovamento (se ci sarà ) della compagine di governo, il profilo di qualche ministro particolare. Per i dettagli del programma («un lavoro enorme da fare», ha detto l’economista, su pensioni, articolo 18, legge elettorale e stop ai privilegi), questi vanno invece tarati sulla maggioranza che vorrà  sostenere l’esecutivo.
Qualche anticipazione il presidente l’ha già  avuta, visti i suoi contatti di ieri. Con Berlusconi, al quale ha riferito la telefonata di Obama. Con Schifani, per avere garanzie sul percorso al Senato della legge anticrisi. Con Visco, per capire come Bankitalia interpreta le performance delle Borse.

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