Carceri, la Severino rilancia il braccialetto
ROMA – Si vedono di sabato la Severino e la Cancellieri. Colloquio privato. Non trapela nulla se non quattro giorni dopo quando il Guardasigilli, per la prima volta, entra in una commissione parlamentare. E lì, al Senato, accanto al presidente della Giustizia Berselli, rivela l’idea che le due signore del governo Monti hanno avuto: “ripescare” il braccialetto elettronico come strumento contro le carceri che scoppiano e per realizzare «notevoli risparmi».
Vexata quaestio, quella del braccialetto. E le due lo sanno bene. Da noi se ne parla dal ’94, l’hanno sponsorizzato ministri come Flick e Napolitano, e ancora Bianco. Poi, in fase di sperimentazione, un detenuto peruviano se ne fa beffa e fugge. Il braccialetto finisce in soffitta per sei o sette anni. Rispunta con Alfano nel settembre 2008, ci pensa l’attuale capo del Dap Ionta per liberarsi di 4mila detenuti, ma tutto si ferma ai pour parler. Adesso, lo racconta al Senato il dipietrista Li Gotti, costa 11 milioni all’anno di canone da pagare alla Telecom, che dovrebbe garantire l’affidabilità di 450 braccialetti. Che però, e lo sanno bene Severino e Cancellieri, non funzionano per un problema non da poco, il detenuto se lo può sfilare dal polso o dalla caviglia, e comunque il meccanismo elettronico non è sempre tracciabile e quindi rintracciabile. Del resto, non è un caso che, giusto nel primo incontro internazionale con l’omologo francese Michel Mercier, a ridosso del confronto al Senato, lui riveli alla Severino che «col braccialetto stanno avendo dei problemi». Loro che, Oltralpe, hanno una situazione carceraria simile alla nostra, 58mila posti nei penitenziari, ma 30 mila detenuti in più.
Rispetto agli annunci e ai tempi lunghi di chi l’ha preceduta, almeno la ministra sta coi piedi per terra. Con la Cancellieri, questo è il retroscena, si è impegnata a fare una verifica lampo, niente commissioni tecniche burocratiche e dai tempi biblici come in passato, stavolta si fa al volo, un controllo definitivo sul braccialetto, sulla possibilità di modificarlo e correggerne i difetti, poi o la va o la spacca. O diventa operativo, o quei soldi si spendono altrove. Su un dettaglio non secondario si spende la ministra: «Il tasso di recidiva per chi lo usa è molto limitato».
Un fatto è certo. Il carcere la preoccupa. Perché oggi, con i suoi numeri, «non rispetta i diritti della persona». Perché il meccanismo infernale delle «porte girevoli», per cui passano per la cella, ma solo per tre giorni, 22mila detenuti, va interrotto. Ma la Severino fa professione di realismo. Punta alle misure alternative, più detenzione domiciliare, istituti come la messa in prova. Niente amnistia, perché «è inutile svuotare il mare con un cucchiaino». Vuol far approvare una carta dei diritti e dei doveri del detenuto perché sappia cosa può e cosa non può fare, e lo sappiano anche i suoi familiari. Ancora realismo. Già il leit motiv della Severino. Nessuna promessa di interventi mirabolanti sui codici, lavoro certosino per tagliare le circoscrizioni giudiziarie. Rilancio del processo civile. Riforma della magistratura onoraria, informatizzazione. Oggi si bissa alla Camera davanti alla collega avvocato Giulia Bongiorno che preside la commissione Giustizia.
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Violenze. Nell’istituto di Parma un detenuto registra le conversazioni con agenti e operatori. «Centinaia di ore di registrazione che sono lo spaccato della condizione carceraria». Indagine interna del Dap «nel rispetto della magistratura». Ma l’inchiesta della procura non decolla