by Sergio Segio | 18 Novembre 2011 9:14
Tutto il mondo è paese, si potrebbe dire, pensando all’alluvione che ha colpito Genova. Sappiamo che gli scienziati hanno da tempo lanciato l’allarme proprio sul Mediterraneo, un mare destinato a divenire tropicale nel giro di pochi decenni; ma sappiamo anche quanto sia difficoltoso immettere in una seria agenda politica le questioni ambientali che impongono scelte impopolari e di lungo periodo.
L’incontro di Kampala anticipa la conferenza sul clima di Durban in Sudafrica[1] prevista per fine novembre: probabilmente siamo davanti alla solita maratona negoziale che partorisce faticosamente documenti pieni di buone intenzioni (spesso comunque anch’esse insufficienti) ma che non conduce quasi mai ad iniziative concrete. Così hanno stentato molto gli analoghi summit di Copenhagen nel 2009 e di Cancun nel 2010.
In quest’ultimo meeting, tuttavia, almeno a parole, si sono raggiunti accordi significativi, anche se non molto ambiziosi[2], che riguardano la mitigazione dell’aumento globale della temperatura (che dovrebbe stare sotto i due gradi C) con la diminuzione dell’emissione di gas serra; la trasparenza nei piani di azioni dei singoli stati; la tecnologia applicata all’ambiente che deve essere migliorata; la raccolta di fondi e la gestione delle risorse finanziarie (il Green Climate Fund aveva a disposizione 100 milioni di dollari l’anno); l’adattamento ai cambiamenti climatici e la gestione dei disastri naturali; l’incentivo alla protezione delle foreste; l’implementazione o la creazione di istituzioni volte a seguire questi obiettivi. Tutto ciò (per i dettagli si legga qui[3]) si riassume nell’imperativo che la temperatura non si alzi più di 2oC nel prossimo futuro.
Per garantire questo livello occorre che la concentrazione di diossido di carbonio equivalente (è la misura dei gas inquinanti) in atmosfera rimanga al di sotto delle 450 parti per milione: oggi è di 370 ppm – stime più aggiornate parlano di 390 ppm – ma prima della rivoluzione industriale era di 280 ppm. Tuttavia la stessa Convenzione Quadro sui cambiamenti climatici, organismo promosso dalle Nazioni Unite che gestisce la delicata materia, afferma che è stato messo in campo soltanto il 60 % delle azioni necessarie per raggiungere il risultato sperato – peraltro minimale.
Secondo l’ultimo rapporto dell’International Energy Agency[4] (IEA), reso noto il 9 novembre 2011, lo scenario è molto più preoccupante[5]: se nel 2010, a causa dell’aumento del 5% del fabbisogno energetico, l’emissione di anidride carbonica nell’atmosfera ha raggiunto un nuovo picco, per i prossimi vent’anni non si prevede un cambio di rotta. Anzi la crescita economica globale, l’inarrestabile spinta demografica e l’accesso di milioni di persone al mondo dei consumi richiederanno sempre di più energia. Sarà sempre più difficile rimanere sotto la soglia dei 2°C, mentre bisognerà considerare gli effetti di un drammatico aumento di 3,5oC. Soltanto un investimento deciso sulle energie rinnovabili potrebbe fermare la corsa al disastro.
In vista della Conferenza di Durban l’IPCC ha pubblicato un documento molto preciso ed esaustivo[6] sulle risorse e sulle possibilità delle energie rinnovabili (RE) che chiarisce la difficoltà della situazione ma anche tendenze incoraggianti e vie concrete da percorrere. Secondo il documento le RE (che assommano varie diverse fonti: l’energia idroelettrica, solare, eolica, geotermica, oceanica e la “bioenergia” a cui si aggiungono una infinità di varianti) fornivano nel 2008 circa il 19% del fabbisogno totale di energia (altre fonti calcolano una percentuale di poco inferiore[7], ma il dato dipende da molti fattori): un trend in aumento ma ancora troppo lento per incidere veramente sull’aumento della temperatura.
Ancora una volta il problema non è tecnologico ma politico. Infatti la ricerca scientifica nel settore, pur non avendo gli stessi finanziamenti per esempio dell’industria militare, sta facendo passi da gigante nel miglioramento del rendimento energetico, nell’abbattimento dei costi di produzione, allestimento e gestione delle strutture necessarie. Nell’introduzione al documento[8] si legge tra l’altro: “A livello teorico il potenziale delle energie rinnovabili eccede elevatamente tutta l’energia utilizzata da tutte le economie della Terra… Le energie rinnovabili possono offrire un gran numero di possibilità e non solo nei riguardi della mitigazione dei cambiamenti climatici ma anche nella direzione di uno sviluppo economico equo e sostenibile, dell’accesso all’energia, della sicurezza nei rifornimenti, dell’impatto sulla salute e sull’ambiente a livello locale”.
Incentivi fiscali e stanziamento di soldi pubblici che vadano in questa direzione sono una strada possibile per diffondere le energie rinnovabili: ma soltanto un cambio di mentalità collettivo potrebbe portare al salto di qualità . I politici devono prima rendersi conto dei benefici sociali determinati da queste nuove tecnologie e poi convincere la gente che utilizzare le fonti energetiche “amiche dell’ambiente” conviene non solo per la qualità della vita ma anche per l’occupazione, per il risparmio, per lo sviluppo nell’ottica di un superamento della crisi economica.
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