by Sergio Segio | 18 Novembre 2011 8:10
ROMA – Nessun colpevole per l’omicidio Calvi. Sono definitive le assoluzioni per la morte del banchiere trovato impiccato sotto il ponte dei Frati Neri a Londra il 18 giugno del 1982. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso contro il proscioglimento dall’accusa di concorso in omicidio volontario per l’imprenditore Flavio Carboni, adesso coinvolto nell’inchiesta sulla P3, Pippo Calò, ex cassiere della mafia, ed Ernesto Diotallevi, ritenuto vicino alla banda della Magliana.
Il caso è chiuso, non ci sarà la riapertura del processo sollecitata dal pm Luca Tescaroli, che aveva accusato i tre di aver organizzato la morte dell’ex presidente del vecchio Banco Ambrosiano. Il movente? «Per punirlo di essersi impadronito di notevoli quantitativi di denaro appartenenti a organizzazioni criminali».
Ci sono voluti anni di inchieste, polemiche, battaglie giudiziarie per stabilire che si è trattato di un omicidio. Soltanto il 7 maggio 2010 la Corte d’Assise d’appello di Roma ha sancito che Roberto Calvi «è stato ucciso». Perizie e controperizie per decenni avevano visto contrapposte le tesi del suicidio e quella dell’assassinio. Infine è stato accertato che il banchiere è stato ammazzato in un cantiere-discarica e poi portato sulle rive del Tamigi. Dove è stata organizzata una messa in scena: la corda al collo, mattoni e quindicimila dollari nelle tasche.
I magistrati hanno scritto con chiarezza che «Cosa Nostra impiegava il Banco Ambrosiano e lo Ior come tramite per massicce operazioni di riciclaggio». Grave, gravissimo, ma troppo poco per infliggere i tre ergastoli. «Parecchia gente voleva la morte del banchiere – afferma la sentenza d’appello – Dalla mafia alla camorra, alla P2, allo Ior, ai politici italiani beneficiari delle tangenti o interessati a cambiare l’assetto del Banco Ambrosiano o a mutare gli equilibri di potere all’interno del Vaticano». Persino ai servizi segreti inglesi l’eliminazione non sarebbe dispiaciuta, «essendo acclarato che Calvi aveva, tra l’altro, finanziato l’invio di armi in Argentina durante il conflitto delle Falklands».
Nel ricorso in Cassazione, il pm Tescaroli – con 130 pagine e 19 motivi di impugnazione – ha messo in evidenza le numerose falsità che, a suo avviso, sono emerse dagli interrogatori di Carboni, che nei giorni dell’omicidio si trovava a Londra nello stesso hotel dove alloggiava Calvi. Secondo il pm «la soppressione del banchiere avrebbe assicurato a Carboni l’impunità per i delitti di bancarotta del Banco Ambrosiano e di riciclaggio in cui era coinvolto». Il 3 novembre scorso la procura generale della Cassazione, rappresentata da Gabriele Mazzotta, si è espressa a favore di un nuovo processo. Ieri il verdetto. Ma soltanto tra un mese si conosceranno i motivi per i quali la Suprema Corte ha deciso lasciare il caso Calvi sepolto tra i misteri d’Italia.
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